Carlo Cassola
e le X Giornate di Brescia
INSURREZIONE
DI BRESCIA
ED
ATTI UFFICIALI
DURANTE IL MARZO 1849
ESPOSTI
DA CARLO CASSOLA
MEMBRO
DI QUEL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA
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A
GIUSEPPE MAZZINI
TRIUMVIRO DELLA REPUBBLICA ROMANA
APOSTOLO DELLA LIBERTÀ
PERCHÉ RAPPRESENTA TUTTA LA FORZA DELLA FEDE
TUTTA L'ENERGIA DELL'AZIONE
NELLA RIGENERAZIONE DEL POPOLO
NELLA NAZIONALIZZAZIONE DELL'ITALIA
QUESTE MEMORIE PATRIE
CARLO CASSOLA
CONSACRA
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I.
Quando, nel marzo 1848, gli altari della patria, tolti dal fango ove giacevano sepolti, venivano esposti alla venerazione del popolo, i Bresciani non mentivano il nome di prodi che avevano ereditato dai loro maggiori, e sciogliendo colla spada l'intricato nodo nel quale il generale austriaco principe di Schwarzenberg teneva avviluppato il Municipio, scacciava a fucilate il nemico dalla città.
Nello stesso tempo dalle campagne, e specialmente dai monti, accorrevano molti armati sotto le mura di Brescia, che, ardenti di battersi per la santa causa dell'indipendenza e malcontenti di non essere stati avvertiti in tempo per compartecipare alla lotta, aspiravano con entusiasmo ad emulare i cittadini.
Per fatale sventura della patria, un branco di uomini, quasi tutti aristocratici ed inetti, impudentemente afferravano le redini dell'insurrezione, eleggendosi da sé, e costituendosi in Governo Provvisorio. Dessi, più che gli Austriaci, temevano il popolo armato e perciò, invece di secondar l'entusiasmo patriottico e formare
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un'armata insurrezionale di prodi, non si occuparono che nel disarmare il popolo, ed indurlo alla quiete con preghiere e minacce, nel licenziare gli armati delle campagne, e nel distribuire cariche lucrose ai parenti ed agli amici. Questi atti, indegni di un Governo surto dalle barricate, introducevano il malcontento nella città, e i buoni e veggenti cittadini non osavano porvi riparo col rimuovere con mezzi energici tali uomini dagli usurpati posti, per non urtare a quel sistema di fratellanza sul quale erasi inalberata la bandiera insurrezionale; persuasi d'altronde che di giorno in giorno dovessero dimettersi dal potere, concentrando il Governo Provvisorio di Brescia in quello di Milano.
Frattanto Carlo Alberto colla sua camarilla entrava in Lombardia, e con lui portava l'etere della discordia, che si diffondeva su tutte le province e penetrava insensibilmente nei cuori, scacciandone tutti i buoni sentimenti che vi dominavano. Sua precipua impresa fu quella di guadagnarsi le persone che stavano al potere, ed in generale tutti gli aristocratici, e li trovò facilissima preda, perché parte per ignoranza, parte per malignità odiavano la repubblica, e trovavano d'altronde lusingata la loro ambizione nell'aspirare a qualche scranno di Pari del regno dell'Alta Italia.
D'allora in poi questi esseri, che pur si chiamano uomini, privati di tutti quei generosi sentimenti che caratterizzano l'uomo in società, abbracciavano e seguivano con rabbioso e superstizioso fanatismo la fede malvagia della casa di Savoia, le loro menti si rendevano schiave, i cuori insensibili; dessi non pensavano, dessi non sentivano che per quell'idolo che li aveva sedotti. Primo ed essenziale precetto di questa fede malvagia era l'eccidio dei liberali, e non vi fu eccesso a
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cui non si abbandonassero per adempire scrupolosamente a tale precetto. Per non dilungarmi in quest'argomento, che assunsi di tracciare succintamente, basti l'indicare che avevano sedotta ed organizzata una compagnia di persone del popolo onde percorresse la città col coltello alla mano a minacciare tutti quelli che spiegassero sentimenti repubblicani.
Povero popolo, come veniva tradito! Egli, che con tanto coraggio nel 22 marzo aveva combattuto per la libertà, per infernale raggiro usava delle stesse armi per comprimerla. L'infamia cada sui traditori!
Per compire la missione loro affidata da Carlo Alberto, non bastava a questi rettili del Governo Provvisorio introdurre la discordia nella città di Brescia; bisognava che avesse più estese fila per cancellare tutti i fatti eroici della Lombardia e far risaltare maggiormente che la sola àncora di salvezza stava in Carlo Alberto. Durante la rivoluzione Milano era l'idolo di Brescia, il motto insurrezionale era quello di imitare i Milanesi, la fratellanza reciproca si manifestava con tutta l'espansione.
Chi avrebbe detto che dopo pochi giorni i Milanesi fossero esecrati dai Bresciani, perché dicevasi che quivi aveva centro il germe repubblicano?
Chi aveva prodotto sì fatale cambiamento nel popolo? I raggiri del Governo Provvisorio e di tutta l'aristocrazia.
Finalmente questi uomini ligi al re, loro malgrado rimettevano il potere nel Governo Provvisorio di Milano, niente dissimile da quel di Brescia; ma il mal germe rimaneva nei varii Comitati destramente costituiti di uomini seguaci per ignoranza della fede albertista, i quali continuavano ciecamente nell'intrapreso
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sistema che doveva ruinare la causa dell'indipendenza. A nessuno veniva dato il più piccolo grado od impiego se non era entusiasmato dalla proverbiale spada d'Italia.
Così, di inganno in inganno, di tradimento in tradimento, il popolo bresciano, tanto prode e generoso, diventava il più fanatico del partito realista, finchè l'appressarsi degli Austriaci nell'agosto lo risvegliava dal suo letargo. Ma non era più in tempo.
Allora, mentre i destini della patria si agitavano sotto le mura di Milano, il popolo di Brescia, in cui tutto era risorto l'entusiasmo del 22 marzo, si stringeva intorno al generale Griffini, mandato dal Governo Provvisorio di Milano per preparare e dirigere la difesa della città. Quel generale dapprima finse di accarezzare il partito repubblicano e di voler servirsi del potente braccio del popolo; ed ove si fosse appigliato a tale partito, ed avesse concentrate in città le truppe che si trovavano nel Tirolo ed i contadini armati della provincia, Brescia avrebbe potuto opporre tale resistenza allo stanco esercito di Radetzky, da dar campo alla Lombardia di insorgere in massa e far pagare al vecchio maresciallo la capitolazione di Milano, carpita col tradimento del re sabaudo. Ma il generale Griffini, sia che si lasciasse intimorire dai maneggi dell'aristocrazia, che non voleva assolutamente che la città si difendesse, sia come sembra più probabile, che egli pur fosse ligio ai voleri di Carlo Alberto, abbandonava, fra l'esecrazione del popolo, vergognosamente la città con circa diecimila armati. Anche dopo tale ritirata una parte del popolo bresciano era così ardente d'entusiasmo patriottico, che rialzava l'albero della libertà, bramando sotto quello essere seppellito anzichè cedere, e solo con qualche dif-
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ficoltà la guardia nazionale potè indurlo ad abbandonare questo progetto disperato; ed era poi tanto il timore nel partito aristocratico per quel fanatismo popolare, che dirigendosi in quei giorni verso Brescia un migliaio di volontari toscani provenienti dal Tirolo, villanamente negava loro l'ingresso in città, spaventato dall'idea che per quel soccorso più fiero si ridestasse nel popolo il pensiero della resistenza. Quel rifiuto d'asilo agli eroi di Curtatone e Montanara sarebbe un monumento perpetuo d'ingratitudine per la città di Brescia, se una città si dovesse tener responsale delle azioni di pochi uomini ignoranti o maligni.
II.
Ritornata Brescia sotto il regime austriaco, o per dir meglio sotto la licenza militare, gli aristocratici ed i goghi cercavano di ammansare quelle belve feroci colle blandizie e coll'obbedienza; ma il popolo fremeva e dava a conoscere che non aspettava che il momento propizio per insorgere più terribile. Anche nel punto di vista politico il popolo era ormai più ragionevole ed illuminato dei cessati reggitori di Brescia e dei dottrinari del partito moderato tanto esteso per sua sventura in detta città, giacchè, mentre costoro trovavansi ancora acciecati dal fascino in cui, li aveva tratti Carlo Alberto, esso aveva conosciuto che senza il di lui tradimento gli Austriaci non avrebbero rioccupata la Lombardia, e non pronunciava mai il di lui nome senza unirvi la taccia di traditore.
Le vessazioni e le atrocità commesse dagli Haynau e dagli Appel durante l'inverno fecero sì che anche gli aristocratici s'accorgessero che non v'era più transa-
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zione da fare cogli Austriaci; e perciò, ad eccezione di pochi iniqui, tutti i cittadini con più o men calore aspiravano ad una nuova lotta per la causa dell'indipendenza; ma non s'accordavano fra loro riguardo ai mezzi, mentre gli aristocratici ed i moderati abbruciavano ancora incensi all'idolo che li aveva sedotti, Carlo Alberto, e da lui solo attendevano la salvezza; i liberali speravano che il re fosse ridotto all'impotenza di tradire, ed avevano qualche fiducia nel generale Chrzanowski, molta nella nazione piemontese, nella rivoluzione della Lombardia, e nel sussidio della armi romane, toscane e venete; il popolo pensava a combattere con coraggio senza internarsi nella questione politica.
Anche in Piemonte gli animi erano disposti alla guerra; e sebbene volessero intraprenderla sotto gli auspici del re, ove questi però si fosse rifiutato, avrebbe messo in pericolo il trono. Non potendo perciò scansare la guerra, Carlo Alberto, per salvare lo scettro alla sua dinastia, s'accordava col maresciallo austriaco di ingannare i popoli con altra manovra militare, con un nuovo tradimento. Siccome però i popoli della Lombardia non erano disposti a prestargli la cieca fede dello scorso anno, bisognava procurare di rassodarla con scaltri mezzi; e la camarilla piemontese, fors'anco con suggerimenti dell'austriaca, perveniva ad ottenere sufficientemente il suo scopo. Per non intrattenermi a lungo su tale argomento, che non è ora mio assunto lo scandagliare minutamente le malvagie arti delle corti, parlerò soltanto di uno dei principali mezzi adoperati per offuscare le menti. Voglio parlare del Comitato insurrezionale. Questo aveva centro nello stesso Ministero piemontese, ed estendeva le sue braccia nella Lombardia al precipuo scopo di preparare e dirigere l'insurre-
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zione dei popoli, mentre si sarebbe combattuta la guerra in Piemonte. Denari ed armi venivano assegnate a tale scopo al Comitato, e quindi sembrava che con tali disposizioni la guerra dovesse essere di buona fede. La maggior parte delle persone che venivano scelte per appartenere a quel Comitato erano in questa credenza, e si sforzavano di diffondere le loro massime politiche a favore del re. Io non vo' con questo far rimprovero a tali persone, perché anzi il disinteresse ed il fervido amore d'indipendenza che spiegarono nell'assumere questo gravoso incarico, ed i pericoli ai quali si cimentarono le rendono care e benemerite alla patria, né questa riconoscenza può essere loro negata per l'inganno politico in cui furono avvolti.
Tale era lo stato delle cose, quando Radetzky con un proclama si faceva a vilipendere Carlo Alberto come suo nemico, ed annunciava alla Lombardia la guerra che andava ad intraprendere contro di lui in Piemonte. Quel proclama per gli Albertisti era documento irrefragabile della incrollabile fede del re alla causa d'Italia; ma coloro che senza acciecamento lo commentavano, lo trovavano uno stratagemma politico onde i popoli prestassero cieca fede a colui che li doveva tradire; e ravvisavano che, ove veramente Radetzky avesse voluto infamare il nome di Carlo Alberto, e rendere diffidenti i popoli verso di lui, avrebbe scoperte ben altre macchie anziché annunciare come colpe e delitti azioni che in faccia alla Lombardia lo avrebbero dimostrato un eroe. Gli stessi Albertisti, infatti, davano dell'incauto a Radetzky, perché, coll'intenzione di vilipenderlo, avesse fatto l'elogio di Carlo Alberto; non eransi ancora accorti che il vecchio maresciallo aveva più malizia volpina che dessi capacità politica di conoscerlo.
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Il giorno 16 marzo 1849 le truppe imperiali partivano da Brescia per concentrarsi verso il Piemonte, lasciandovi a guarnigione in castello cinquecento uomini, oltre sessanta gendarmi che tenevano quartiere a Sant'Urbano, posto alle falde del castello, con forte deposito al palazzo del Broletto, ove si trovavano riuniti gli uffici della Delegazione, del Tribunale colla cassa pupillare e della Polizia. Negli spedali militari di San Luca, SantEufemia e San Gaetano trovavansi in complesso da settecento in ottocento ammalati. Il comandante di piazza restava nel suo solito locale in città. Il Municipio era senza podestà, perché il cittadino Averoldi, che occupava tal posto, era fuggito da Brescia qualche mese prima, per scansare l'arresto ordinato da Haynau in conseguenza della scoperta di un magazzeno di vestimenti militari appartenenti al cessato Governo Provvisorio, e che non eransi offerti alla voracità del generale austriaco. In sua assenza dirigeva il Municipio il signor Giovanni Zambelli, ed a lui e al corpo municipale il generale d'Appel, nel dipartirsi da Brescia colla truppa, affidava il buon ordine della città col servizio della sola gendarmeria. In vista di ciò il Zambelli con un proclama esortava i cittadini alla quiete, facendo conoscere che in caso diverso la guarnigione del castello, che diceva imponente, avrebbe bombardato la città. La maggior parte dei cittadini era di parere che si dovesse procrastinare la rivoluzione a momento più opportuno, che per gli Albertisti sarebbe stato quello in cui l'esercito piemontese avesse riportato sugli imperiali qualche rilevante successo, mentre i repubblicani attendevano che, dopo l'occupazione per parte degli Austriaci del Piemonte, restando a tutti palese il tradimento dei re, generale scoppiasse l'insurrezione
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negli Stati sardi e nel Lombardo-Veneto. Una parte del popolo però, più coraggiosa che calcolatrice, era impaziente di venire alle mani e di vendicarsi dei loro fratelli che barbaramente erano stati fucilati in castello nell'autunno e nell'inverno. Se però il signor Zambelli, invece di usare le minacce per voler contenere il popolo, avesse, con un proclama diversamente concepito, fatto trasparire che non si voleva impedire la rivoluzione, ma procrastinarla, avrebbe forse salvata la città dall''ccidio. Il fatto si è che il suo proclama fu mal sentito da tutti gli amanti della patria, di qualunque colore essi fossero, e trattandosi di persona già invisa ai cittadini, pensavasi di rimoverlo dal posto che occupava. Conosceva egli benissimo il malcontento della città, ma non per questo volle, accettare il consiglio di alcuni privati perché si dimettesse, finchè nel giorno 21 un assembramento popolare di nessuna educazione politica, giacché portava per bandiera un fazzoletto coll'effigie di Pio IX, si dirigeva fin sotto la loggia del Municipio, gridando abbasso Zambelli, senza per altro penetrar nelle sale. Questa dimostrazione fece l'effetto che nella vegnente sera il Zambelli rinunciava al posto (1).
Il Consiglio comunale allora, presieduto dall'aggiunto di delegazione Dehò, eleggeva ad unanime acclamazione l'avvocato Saleri a dirigere il Municipio, con incarico di instituire una guardia municipale per conservare il buon ordine nella città.
(1) Di questo sagrificio venne di già il Zambelli giustamente ricompensato, perché il Montecucoli, conscio del suo fedele attaccamento al paterno regime di casa d'Austria, gli conferì non ha guari il posto di amministratore dei Luoghi Pii.
(Nota dell'autore)
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L'avvocato Saleri, uomo distinto per talenti, amato per la specchiata sua probità e filantropico sentire, e benemerito alla patria per i miglioramenti sociali che cercò mai sempre d'introdurre, forse per l'età sua avanzata o per troppa dolcezza di carattere, o fors'anco perchè oppresso da una crisi di famiglia cui era soggetto in quei giorni per grave malattia della moglie, che la conduceva poscia al sepolcro, mancava di quell'energia che si richiedeva per simile posto fra un popolo che divampava di furore insurrezionale.
Comunque fosse, la città tutta avea applaudito a tale nomina, per cui il prediletto Saleri, più per riconoscenza che per propria volontà, accettava il posto conferitogli, e pensava subito ad attivare la guardia cittadina per conservare il buon ordine e proteggere, come si diceva, la proprietà privata; perché i gendarmi, per aver servito da sicari durante il terrorismo d'Haynau e di Appel, erano odiati dai cittadini, e col loro servizio gli avrebbero maggiormente irritati suscitando una sommossa. Anche il comandante del castello, dietro replicate istanze del Municipio, aveva convenuto nella misura di instituire tale guardia, ma accordava soltanto l'uso di arma bianca, promettendo egli stesso di consegnare quattrocento sciabole per l'armamento. Come è di solito però in tutti i comandanti austriaci, che hanno l'inganno a base della loro politica, ne consegnava soltanto quaranta. Tale instituzione in tal modo riesciva assai difficile ad effettuarsi, anche per la circostanza che pochi cittadini si facevano inscrivere, perchè la qualità dell'arma ed i servigi che loro venivano imposti per nulla si confacevano alla santa causa cui avrebbero voluto coadiuvare.
In tale stato di cose, una parte del popolo fremeva
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e dava a conoscere che la più piccola occasione d'ostilità lo avrebbe fatto irrompere. I più ragionevoli procuravano di reprimere per il momento quell'entusiasmo, i timorosi tremavano, gli aristocratici lasciavano quasi tutti la città, il Municipio vagava incerto senza prendere un partito decisivo.
Frattanto il Comitato insurrezionale che, giusta le istruzioni avute da Torino, avrebbe dovuto far scoppiare la rivoluzione il giorno 20, o al più tardi il giorno 21 marzo, faceva pervenire nel 19 sui ronchi di Brescia un pugno d'armati, circa cent'ottanta, composto di Italiani disertori dalle bandiere austriache e di volontari valligiani, che già da qualche tempo erano pagati ed organizzati, e trovavansi sotto la direzione del curato di Serle, don Pietro Boissava, uomo che al dilicato sentire, all'affabilità de' modi ed all'umiltà evangelica univa il più intenso amore di patria e l'intrepidezza del guerriero. A quegli armati qualche giorno dopo se ne aggiungevano altri, guidati dal dottore Maselli, uno dei giovani più ardenti per la causa dell'indipendenza. Per tale unione il numero di quei corpi-franchi fu portato a trecentocinquanta. Lo stesso Comitato secreto coi denari somministrati dal Piemonte, diciottomila franchi in complesso, aveva anche fatto apparecchiare, sfuggendo con grave pericolo al vigile sguardo della Polizia austriaca ed alle frequenti perquisizioni del governo militare, circa quattrocento fucili e quarantamila cartucce, oltre alle zappe, leve di ferro e scuri che potevano occorrere per taglio di ponti ed asserragliamento di strade.
Quegli armati riuniti sui ronchi accrescevano mirabilmente l'entusiasmo popolare, ed in processione i cittadini si portavano a visitarli con espansione di gioia,
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sebbene venisse soltanto a pochi accordato l'ingresso nel recinto dei locali in cui si trovavano, ché erano regolarmente guardati da sentinelle avanzate. Anche la guarnigione del castello s'era accorta della comparsa di quei corpi-franchi, ed aveva fatti trasportare due cannoni nella parte del colle che guarda i ronchi, e li aveva livellati contro di loro.
Nella città riuscivano ormai insufficienti gli sforzi dei prudenti a rattenere lo slancio del popolo, ed appariva evidente che una spinta qualunque avrebbe prodotto lo scoppio d'una rivoluzione. Questa spinta veniva data per calcolo o per imprevidenza dagli stessi Austriaci.
Il generale Haynau nel passato inverno aveva imposta alla città una multa di cinquecentoventimila lire per i sintomi ostili che, secondo lui, trasparivano a danno dell'Austria. Una metà di quella multa era già stata pagata dal Municipio con cartelle, l'altra doveva essere pagata in danaro nel giorno 20; ma sperando la maggior parte dei possidenti nel buon esito della guerra che era stata proclamata, assai difettoso era riuscito il pagamento, tanto che al 23 erasi incassata soltanto una metà della somma (centotrentamila lire), versata dai vigliacchi. Sebbene non fosse completa la somma, in quello stesso giorno 23 il comandante del castello aveva ordinato al Municipio la consegna della medesima. Il popolo, venuto in cognizione di tal cosa, si portava in folla sulla piazza e sotto la loggia del Municipio, e protestava, non solo contro la consegna del denaro, ma voleva che non si somministrassero ulteriormente i viveri alla guarnigione del castello. Durante quel tumulto popolare il comandante di piazza presentavasi al Municipio per ritirare l'anzidetta somma; la folla, indignatasi somma-
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mente, irrompeva nelle sale e si lanciava sul comandante stesso, e lo avrebbe mal concio se i cittadini Sangervasio, Rossa ed altri non lo avessero salvato dal furor popolare. Veniva però disarmato e fatto prigioniero dal popolo, che lo traduceva sui ronchi, affidandolo alla custodia dei corpi-franchi che quivi si ritrovavano. Mentre al Municipio seguiva quella scena, nell'attigua contrada degli Orefici passava un convoglio di viveri scortato da un picchetto di soldati e diretto al castello. Molti arditi del popolo, muniti soltanto di bastoni, si scagliavano con disperato coraggio sulla scorta, e fu tale la sorpresa, che quei soldati non ebbero campo di scaricare le loro armi, sicché furono in un lampo maltrattati, disarmati e fatti prigionieri; pochi poterono salvarsi colla fuga.
Diversi gendarmi frattanto erano accorsi, e scaricavano fucilate sul popolo; ma per buona sorte non produssero che qualche ferita, ed un sol cittadino rimase ucciso, mentre inseguiti dall'inerme popolo, quegli Italiani rinnegati, fuggendo, si riparavano nella caserma. La caccia allora proseguiva in tutte le parti della città, e i pochi soldati della guarnigione degli spedali che si trovano sbandati, venivano inseguiti ed arrestati, e quelli che osavano rivoltarsi colle armi alla mano, erano a colpi di bastone feriti o massacrati. Finita questa caccia selvaggia, che avrebbe destato orrore se la santità della causa non l'avesse giustificata, e dirò anzi nobilitata, succedeva un'altra scena ben più aggradevole a vedersi; era l'atterrarsi e la distruzione degli abborriti stemmi. Ad ogni aquila bicipite, che veniva precipitata a terra, succedevano acclamazioni di gioia; quelle che erano formate di legno venivano spaccate, ed esultanti
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i cittadini, si armavano con quei pezzi, che a qualche soldato riescivano ben dolorosi.
Nello stesso tempo arrivavano a Brescia, provenienti dal Piemonte, i cittadini Martinengo, Borghetti e Maffei, ed annunciavano al Municipio ed alla città che l'esercito piemontese, strategicamente diretto da Chrzanowski, aveva piegato in ritirata fino alla Cava, e quivi, attesi gli Austriaci all'agguato, ne aveva fatto macello; magnificavasi la strategia di quel generale. Aggiungevasi che un forte corpo di Piemontesi aveva passato il ponte di Boffalora ed occupato Magenta, per cui, si arguiva che potesse trovarsi già sotto le mura di Milano. Manifestavasi che il generale insurrezionale Camozzi trovavasi sotto Bergamo con un rilevante numero di corpi-franchi; che eransi condotti in Lombardia dal Piemonte settemila fucili, duemila de' quali erano già in viaggio per Brescia. Quelle notizie infiammavano d'entusiasmo i cittadini, ed il Comitato segreto manifestava allora gli ordini ricevuti per far scoppiare la rivoluzione. Non v'era ostacolo a tale impresa, bastava lasciar libero lo slancio al popolo; e così fu fatto.
Mentre il comandante di piazza si trovava al Municipio assediato dal popolo, diversi cittadini che volevano armi per instituire la guardia nazionale lo indussero a spiccare un ordine di suo pugno al direttore degli spedali militari perché, allo scopo indicato, consegnasse ai cittadini tutti i fucili ivi esistenti. Si presentavano allora i cittadini con quell'ordine all'ospedale di Sant'Eufemia, ove speravano di trovarne in numero maggiore; ma il corpo di guardia in quel luogo, che era stato qualche ora prima rinforzato da un picchetto di venticinque o trenta bersaglieri, chiudeva la porta dell'ospedale e si
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faceva a sparare sul popolo. Un cittadino in quella fazione cadeva morto, un altro gravemente ferito.
Quel tradimento portò al colmo l'inasprimento del popolo, e sebbene soltanto otto o dieci cittadini vi si trovassero muniti di schioppi, parte dei quali anche in mal essere, scambiarono ciò nonostante alcune fucilate. Taluni corsero ad avvertire di questo fatto i corpi-franchi che si trovavano sul ronchi, e li eccitavano ad accorrere in soccorso dei cittadini; ma quelli avevano ordine da un membro dei Comitato segreto, che li aveva assoldati, di non muoversi fino ad un suo cenno, ed infatti non si mossero.
Venuta la sera, la citata guarnigione dello spedale di Sant'Eufemia faceva una sortita, e dopo scambiate alcune fucilate con tre cittadini armati che trovavansi a Torrelunga, si avviava al castello conducendo seco molti ammalati che si trovavano in grado di fare quel tragitto. Anche i gendarmi in quella sera riparavano in castello, abbandonando la caserma di Sant'Urbano. Così aveva fine il 23 marzo. Durante il medesimo, dal castello non si erano vomitate sulla città che cinque bombe, le quali avevano prodotta qualche ruina alle case, ed accresciuto l'entusiasmo dei cittadini; ma la sera il comandante, con un suo dispaccio diretto al Municipio, ordinava la riconsegna fra due ore del comandante di piazza e di tre ufficiali che diceva smarriti nella sommossa, sotto comminatoria, mancando, di bombardare la città. Il Municipio rispondeva che il comandante di piazza era nelle mani del popolo, non si sapeva dove, ma essere certo del suo buon trattamento, e che non era a sua cognizione lo smarrimento degli ufficiali; Pregava di sospendere il bombardamento, promettendo d'interporsi presso il popolo per la riconse-
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gna del comandante di piazza. La risposta veniva affidata ad un manuale muratore, di cui lo stesso comandante erasi servito per far pervenire il suo dispaccio; ma sia che quel messo non la consegnasse, o che quel comandante non ne fosse soddisfatto, al punto della mezzanotte fulminava la città con fiero bombardamento. La maggior parte dei cittadini non conosceva la minaccia del comandante del castello, e quelli che ne erano informati erano poco persuasi che la volesse eseguire, per cui la città giaceva nel sonno, e soltanto poche guardie cittadine vegliavano pattugliando. Il fragore del bombardamento svegliava la popolazione, e quella sorpresa fra le tenebre della notte destava in lei un momentaneo fremito, che subito per molti cambiavasi nel più festevole entusiasmo patriottico. Gran parte della gioventù accorreva al Municipio ed al teatro, che serviva di caserma delle guardie cittadine, chiedendo armi, e siccome non se ne avevano, erravano per la città in piccoli drappelli, muniti di bastoni, di spiedi, di forche e d'altri istromenti che in qualche modo potessero offendere. Quasi tutta però era gente del popolo. Frattanto le canzoni patriottiche, le grida di viva l'Italia e fuori i lumi per invitare i cittadini ad illuminare la città, si confondevano nell'aere col fragore del bombardamento, e producevano sugli animi, specialmente dei giovani, quelle sensazioni per cui l'uomo s'innalza a tutta la sua dignità, e persuaso di essere destinato a missioni ben diverse dalle passate frivolezze, non vagheggia che il pensiero di compiere il proprio dovere, e sente il cuore aprirsi ad una gioia più pura, più nobile e più intensa che non provò giammai. Il bombardamento durava per due ore, e cessava ai primi tocchi delle campane che suonarono a stormo in tutti
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i campanili della città. Gran parte dei cittadini, e specialmente le donne, i vecchi ed i fanciulli, per evitare possibilmente di essere colpiti dalle bombe, eransi rifuggiti nelle cantine, ed altri invece stavano alle finestre a contemplare lo spettacolo delle bombe, delle palle infuocate e dei razzi, come se assistessero a fuochi d'artifizio. Tutto quel bombardamento aveva soltanto apportato la morte a due fanciulli, e guastate delle case e degli effetti che contenevano, ed aveva dimostrato che l'effetto devastatore delle bombe non è quale i tiranni vorrebbero far credere per atterrire i popoli, e che una città predominata dal sentimento nazionale può sfidare i bombardatori. Tiranni d'Europa! se qualche genio malefico non viene in vostro soccorso coll'invenzione di mezzi distruttori più efficaci, le bombe non basteranno a difendervi dai popoli moderni.
Nel mattino del 24 un assembramento popolare avea luogo di nuovo davanti all'ospedale militare di Sant'Eufemia, gridando che si aprisse. Questa volta gli armati erano in numero maggiore che non nel dì precedente, cioè dai venti ai venticinque, e come si è detto era stato abbandonato il posto, per cui non vi si trovavano che gli ammalati. La porta, ciò nonostante, non veniva aperta al popolo minaccioso, per cui gli armati eransi messi a schioppettare contro le finestre. Venivano allora presentate fuori dalle finestre stesse delle bandiere bianche; ma il popolo continuava a gridare che si aprisse la porta, contro la quale andava fortemente urtando per gettarla a terra. Finalmente veniva aperta, ed una massa di popolo irrompeva in quel vasto locale, accorrendo qua e là per le stanze, senza fare il benché minimo insulto agli ammalati, ma ricercando soltanto le armi. Alcuni militari italiani indicarono una stanza a piano ter-
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reno come luogo di deposito delle armi, ed aperto l'uscio con violenza, tutti accorrevano in quella stanza e facevano a gara per impadronirsi di un fucile. Ve n'erano però soltanto dai quaranta ai cinquanta, per cui la maggior parte, dopo avere invano perlustrate tutte le altre sale, dovette uscirne delusa nella speranza con tanto calore nutrita, mentre quelli che avevano potuto impadronirsi di uno stutzen o di un fucile qualunque, con tutta l'espansione della gioia lo portavano come in trionfo. In un piccolo stanzino attiguo alla porta giaceva un militare italiano mortalmente ferito, ed i suoi compagni esposero che era stato colpito mentre erasi presentato alla finestra per far conoscere che erano disposti ad aprire la porta, appena fossero cessate le violenze contro la stessa. È impossibile che in simili eventi non succeda qualche disordine. Quella però fa l'unica vittima che soggiacque in quel fatto. - Gli altri due spedali di San Luca e San Gaetano non opposero resistenza, ma ben poche armi si trovarono anche in que' luoghi.
Nella precedente notte l'avvocato Saleri, ritornando dal Municipio a casa sua, cadeva a terra, e ne riportava una contusione che lo teneva obbligato a letto, per cui eleggeva come a suo sostituto nella dirigenza il cittadino Sangervasio. Nessuna misura però erasi ancora adottata dal Municipio per la difesa della città, occupandosi soltanto dell'ordine interno e nel cercare di placare la collera del comandante del castello, che continuava nelle sue minacce. Erano stati eletti per dirigere la guardia cittadina il dottor Pietro Buffali e Carlo Tibaldi, giovani per capacità, per entusiasmo patriottico e per coraggio adattatissimi; ma le instituite guardie cittadine, oltre all'essere in piccol numero, erano anche
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poco animate, per cui i lodevoli loro sforzi per riunire dei difensori armati non ottenevano buon risultato. Infatti nel mattino del giorno 24 fino ad ora tarda, mentre di tratto in tratto il castello vomitava ancora qualche bomba sulla città, non vi erano più di quindici guardie cittadine in funzione, e queste pure, indignate della inerzia e viltà dei compagni, stavano per abbandonare il posto, quando fu progettato e adottato all'istante di portarsi al Municipio e spingerlo a quelle misure che si richiedevano in sì critiche circostanze. Poco dopo veniva pubblicato il seguente
AVVISO
Una rappresentanza di Cittadini per la difesa della patria, ha nominato un Comitato apposito, composto dei seguenti:
Ingegnere professore LUIGI CONTRATT,
Dottore CARLO CASSOLA.
Cittadini, il vostro amore per la patria è conosciuto, ed ora è il tempo di darne una luminosa prova; avvicinatevi al Comitato che fissa la sua residenza nel locale del Teatro, ed attendete da lui direzione ed ordine.
Brescia, 24 marzo 1849.
Per il Dirigente
Firmato SANGERVASI.
Volevasi anche, per vive istanze dei nominati al Comitato di difesa, aggiungere loro un terzo compagno; ma per eccessiva, sebbene dilicata riservatezza, coloro che ne erano stati designati dichiaravano di non sentirsi in grado di assumere un posto di tanta difficoltà, e che portava seco una illimitata responsabilità in faccia alla nazione. Attesa l'urgenza del caso, i cittadini Contratti
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e Cassola accettavano l'incarico di dirigere da soli il Comitato finché venisse loro aggiunto qualche altro compagno; ciò che non ebbe mai luogo. Si mettevano tosto all'opera, si dichiaravano in seduta permanente, e spedivano emissari per le campagne onde raccogliere armi ed armati, essendo determinati di concentrare in città tutte le forze della provincia onde formare un esercito che servisse, non solo alla difesa di Brescia, ma benanco ad infestare il nemico, ove fosse costretto a ritirarsi nelle fortezze. Sia però che i contadini si ricordassero del cattivo trattamento che avevano avuto l'anno scorso dal Governo Provvisorio, quando pieni di entusiasmo erano accorsi in armi a difesa della città, sia che il cattivo esito della precedente rivoluzione li avesse sconfortati, e poco sperassero nella guerra del Piemonte, con molta difficoltà da tutta la provincia si ebbero poche centinaia di armati. Per non comprometterli maggiormente, taccio ora i nomi di quei paesi che diedero dei difensori alla patria, ma a suo tempo brilleranno i loro nomi per bella fama, ad ignominia di quelli che vilmente rimasero nell'inerzia. Erasi però accorto il Comitato di difesa che tale ignominiosa inerzia di quasi tutti i comuni proveniva in gran parte dalle Deputazioni comunali, composte di solito di individui che, o per l'età avanzata mancano dell'entusiasmo e del coraggio più proprio della gioventù, o per egoismo trascurano la causa della patria per timore di compromettere le loro persone o i loro averi, in caso di invasione del nemico. Per rimediare a tale inconveniente, il Comitato stesso avea disposto di instituire in ogni distretto un Comitato di difesa, composto dei giovani i più intelligenti ed entusiasmati di patrio amore, accordando loro poteri illimitati, colla sola dipendenza dal Comitato di difesa in Brescia;
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ma la brevità del tempo e gli avvenimenti che, come vedremo, si accavallavano e tenevano continuamente occupato il Comitato in operazioni di maggiore urgenza, non concessero che fosse compiuta quell'opera da lui pensata.
La fede politica abbracciata dal Comitato di pubblica difesa era quella che si comprende in queste due stupende parole: Dio e il popolo , e che, sebbene accanitamente perseguitata dai dispotici e dai moderati, non può essere compressa perché appoggiata al Sommo Vero, ed anzi come la fede di Cristo si estende semprepiù, quanto più viene perseguitata, e ad onta degli ostacoli che va frapponendo la scaltrezza de' suoi nemici, salverà presto l'Italia e l'umanità intera. Precipua cura pertanto del Comitato era quella di armare il popolo, persuaso che, in mancanza di un esercito disciplinato, soltanto il popolo armato posto a fronte del nemico può fare prodigi.
In vista di ciò sceglieva giovani di fama popolare, ardenti d'entusiasmo, di mente svegliata ed alieni da qualsiasi privato interesse, per affidar loro le mansioni di maggior importanza, pubblicando il seguente:
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA Elegge e nomina in via durgenza le seguenti Commissioni:
Per l'organizzazione della Guardia nazionale, con incarico di sorvegliare l'esatto adempimento del servizio e la distribuzione delle relative paghe
I signori ingegnere Domenico Buizza,
Dottore Pietro Buffali,
Ingegnere, Camillo De Dominici,
Dottore Carlo Tibaldi;
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Per l'acquisto delle armi e munizioni
I signori Vincenzo Grassi,
Serafino Volponi,
Giovanni Micheloni,
Zaccaria Premoli;
Per la distribuzione delle armi e munizioni
I signori ingegnere Pietro Pedrali,
Ragioniere Alessandro Usardi.
Le summentovate Commissioni avranno residenza nel locale del Teatro.
Dall'Ufficio, il 24 marzo 1849.
I membri del Comitato
Firmati CONTRATTI - CASSOLA,
Nel mattino successivo poi pubblicava il seguente proclama:
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 25 marzo 1849.
I sottoscritti, stati eletti per provvedere alla difesa della patria, nell'accettare sì grave incarico confidano che i cittadini i quali diedero già tante belle dimostrazioni di amor patrio vorranno concorrere con tutta l'energia di cui sono capaci, a sostegno di una così santa causa.
Frattanto si invitano tutti coloro che possiedono uno schioppo e che non fossero ancora organizzati in pattuglie, a presentarsi oggi alle ore dieci antimeridiane alla caserma nel teatro, ove si dirigeranno alla Commissione già nominata per l'organizzazione e pagamento della Guardia nazionale, avvertiti che a coloro che traessero i mezzi di sussistenza dal giornaliero lavoro verrà corrisposta la mercede di lire 1.50.
Cittadini!
Nessun privato interesse, nessun timore vi trattenga dall'accorrere alla chiamata, e considerate quale infamia piomberebbe su quelli che non si prestassero in momenti tanto decisivi per la salute della patria.
Unione - Costanza - Coraggio.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Frattanto a prezzo di perizia si andavano acquistando fucili dai fabbricatori e da diversi incettatori, che con loro pericolo li avevano conservati, scansando le ricerche del Governo militare, e venivano distribuiti ai coraggiosi senza distinzione di grado o condizione, e si spedivano incaricati a Gardone per trasportare in città altri fucili che quivi si trovavano in un arsenale di privati, che era stato suggellato dagli Austriaci, minacciandosi le più severe misure contro quella Deputazione comunale, ove, come si diceva, si fosse opposta a tale trasporto, ed offrendo il giusto indennizzo ai proprietari dei fucili stessi. Nello stesso tempo i cittadini Martinengo e Borghetti si avviavano alla volta di Palazzolo per sollecitare il trasporto dei fucili provenienti dal Piemonte e destinati per Brescia. Si commetteva pure agli ingegneri la costruzione di forti barricate, specialmente alle porte della città, e venivano queste disposte in modo, che, ove mai taluna fosse caduta in potere del nemico, non potesse valersene contro dei nostri. Per non comprometterlo maggiormente, perchè gli Austriaci quando non ponno avere l'individuo si vendicano sulle sostanze, taccio il nome del giovane che spiegò tanto acume ed una operosità senza esempio nel disporre le barricate, nel sorvegliare la costruzione, e nel ridestare o fo-
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mentare il coraggio nei difensori di esse durante le lotte, colle parole e coll'esempio, accorrendo sempre ove maggiore si manifestava il pericolo. La sua bell'anima ebbe al certo sufficiente compenso nelle stesse sue azioni a pro della patria, ed una penna più degna pubblicherà un giorno il suo nome e le sue gesta.
Per le notizie politiche e per scoprire le mosse e la forza dei corpi nemici che si dirigessero sopra Brescia, il Comitato di difesa erasi messo in comunicazione cogli individui sparsi dovunque, che costituivano già il Comitato secreto, di cui uno dei membri del Comitato di difesa faceva parte.
Le misure adottate dal Comitato di pubblica difesa sconcertavano la maggior parte dei cittadini componenti il corpo Municipale, i quali pensavano di poter salvare ancora la legalità in faccia agli Austriaci, ed avevano creduto che il Comitato di difesa dovesse essere dipendente dal Municipio, e non intraprendeva operazioni senza il suo beneplacito. Si voleva perciò ricondurre il Comitato a più miti disposizioni, onde Brescia non venisse dichiarata città ribelle. Il Comitato rispondeva francamente ai rappresentanti dei Municipio che se il corpo Municipale credeva di essere o fosse anche nella legalità, non era così della città, la quale coi fatti aveva già a sufficienza spiegata la rivolta; mentre il bombardamento da parte del castello aveva dimostrato anche ai più ciechi come la pensasse il Governo militare riguardo alla sommossa di Brescia, e che se momentaneamente il comandante del castello stesso aveva cessato di bombardare, si doveva unicamente attribuire alla conosciuta di lui impotenza di reprimere colle sole bombe l'insurrezione, per cui avrebbe ripreso il bombardamento quando gli fossero sopragiunti rin-
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forzi. Si aggiungeva che il Comitato di pubblica difesa avea creduto che il Municipio il quale pure faceva parte della Commissione che lo avea creato, avesse voluto con tale istituzione liberarsi da ogni qualsiasi responsabilità, addossandola tutta al Comitato stesso; che le persone componenti questo Comitato eransi perciò determinate di gettar il guanto all'Austriaco e seguire così i destini della città che era già oltremodo compromessa, e che la sola responsabilità che avrebbero temuta sarebbe stata in faccia alla nazione ove non avessero fatti tutti gli sforzi possibili per salvarla dalla rabbia del nemico, il quale aveva già minacciato l'esterminio di quelle città che avessero inalberata la bandiera della rivoluzione. Manifestati così i propri sentimenti, il Comitato conchiudeva che ove si volesse impedirgli di agire come meglio credesse per la difesa della città, si sarebbe tosto disciolto, non volendo avere a suo carico la responsabilità in faccia alla nazione, mentre il Municipio voleva comprometterla colla debolezza.
In mezzo a questa disparità d'opinioni eranvi però taluni appartenenti al Municipio i quali, rattemprando coi modi più gentili l'ardor giovanile e l'impetuoso entusiasmo delle persone componenti il Comitato, le indussero a sospendere la pubblicazione di qualche proclama insurrezionale che era già steso, finchè colle persuasive avessero indotto il corpo Municipale a convenire nelle misure da loro adottate, e così avevano se non messo l'accordo fra i due uffici, indotto il Comitato a conservarsi in posto.
Nello stesso giorno 25 però veniva pubblicato il seguente:
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N.1685
MUNICIPALITÀ DI BRESCIA
AVVISO
La Rappresentanza Municipale di questa città trovasi necessitata a dover provvedere ai mezzi di pubblica sicurezza e difesa, la quale venne ieri affidata ad un Comitato composto dei signori ingegnere Luigi Contratti e dottore Carlo Cassola.
Trattasi di confermare nel Comitato medesimo ogni relativo potere e di somministrare i mezzi ad agire nell'importantissimo ed urgente mandato.
Il Rappresentante Municipale a questo scopo e per essere appoggiato dal voto della popolazione, invita tutti i possidenti e censiti, negozianti ed esercenti arti liberali nella città, e quelli ancora della Provincia che vi si trovassero, a recarsi oggi alle ore quattro pomeridiane nel palazzo Municipale della Loggia per deliberare sopra così importante oggetto.
Brescia, dal Civico Palazzo, il 25 Marzo 1849.
Per il Dirigente
Firmato SANGERVASIO
Quest'invito, per essere stato troppo tardi esposto al pubblico, non veniva secondato da numeroso concorso, per cui, sembrando ai comparsi che non vi fosse sufficiente numero di cittadini per decidere cosa di tanta importanza, conchiusero che avesse a continuare il Comitato di difesa nelle sue gestioni finché più numerosa assemblea fosse convocata.
Frattanto il Comitato, interprete del voto della gioventù intelligente e del popolo armato, continuava ne'
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preparativi di difesa, essendo determinato di emanciparsi dal Municipio in tutto ciò che fosse diretto a preparare e sostenere la difesa della città. Per vie-meglio secondare l'entusiasmo nei cittadini, e scuotere dal letargo i contadini della provincia, pubblicava la seguente Circolare ai parrochi:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA
circolare
Ai reverendi Parrochi della città e campagna
della provincia di Brescia.
Sacerdoti! Voi che tanta influenza, pel vostro sacro ministero, avete sulla popolazione, è giunto il momento dell'opera vostra!
Il sole della nostra indipendenza avea già rischiarato il nostro bel paese l'anno scorso, e poscia offuscatosi, ora comincia a mostrarsi più bello, ed a lasciarne sorgere speranze, e speranze fondate di una libertà ed indipendenza dallo straniero.
Ma non basta l'affidarsi all'esito di una battaglia fra le due armate; che delle vittorie avute è a noi favorevole; è necessario che anche la popolazione Lombardo-Veneta dia mano contro il comune nemico, contro lo straniero, e mostrandosi a lui imponente ed infesta, agisca sul morale di truppe preste alla diserzione, e poco vogliose al combattere, e sia al nemico di danno o col scemarlo di numero, o col rendergli difficile il provvigionarsi, e le operazioni militari nel caso specialmente di una ritirata ai loro nidi.
Brescia e Bergamo hanno di già dimostrato di essere comprese di queste massime, hanno di già inalbe-
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rata la bandiera della rivoluzione, e dimostrato all'austriaco, che non aspettavano che il segnale per armarsi e difendere col loro sangue e colla loro vita quanto si ha di più caro dopo Dio, la nostra Patria.
Ora a voi si indrizza questo Comitato di pubblica difesa, a voi ministri di un Dio, giusto, onnipotente, e che vuole mantenuti agli uomini i diritti che a lui concesse col dare un'anima, un pensiero libero una patria, affinchè col vostro carattere sacro alla popolazione abbiate a secondare lo spirito d'indipendenza, che così bene si ebbe a manifestare in questa città, ed in alcuni paesi. Né solo è ufficio di secondare, ma se siete veri patrioti dovete eccitare la popolazione, far conoscere ad essa il debito verso la patria. Ma i giovani specialmente accorrino alla caserma, ed alla città, che quivi sarà loro dato un fucile, un'arma, onde con essa dar prova del loro amore patrio; pronti i cittadini a dividere seco loro il pane ed i pericoli.
Sì, voi dovete parlare, voi dovete col crocifisso in mano gridare l' all'armi, voi dovete far conoscere colle vostre influentissime parole, come si deve amare la patria, e quanto deve darsi per essa contro lo straniero.
Se compirete quest'ufficio, Dio nella sua giustizia vi benedirà, la patria ve ne sarà grata, la storia parlerà di voi; la vostra coscienza ed il vostro cuore saranno tranquilli. Guai a voi se non lo compirete, guai per la vostra coscienza e per l'esecrazione dei vostri concittadini e congiunti!
Brescia, 25 marzo 1849.
I membri del Comitato
Firmati CONTRATTI - CASSOLA
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Nel successivo giorno, 26 marzo. lo stesso Comitato pubblicava il seguente:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, il 26 marzo 4849.
Questo Comitato avrebbe intenzione di formare una guardia di arditissimi bersaglieri, ai quali verrebbero affidate importantissime operazioni di difesa ed offesa.
Si invitano pertanto tutti coloro che avessero il coraggio e l'attitudine per appartenere a questo corpo distinto a presentarsi nella caserma del teatro alle dodici meridiane d'oggi, ove verranno debitamente organizzati e si assegneranno loro le relative incumbenze.
Giovani Bresciani!
L'ora è scoccata in cui potrete mostrare all'Italia che il nome di prodi che avete ereditato dai vostri maggiori sapete conservarlo immacolato, e farete conoscere all'ostinato nemico quali cuori questo sole riscaldi.
Unione - Costanza - Ardire.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Nello stesso mattino 26 marzo il Comitato di difesa veniva avvertito dai corrispondenti della campagna che un generale austriaco (Nugent) si dirigeva sopra Brescia con circa duemila uomini e due pezzi d'artiglieria. Il Comitato, d'accordo in ciò col Municipio, spediva come parlamentario a quel generale un medico militare per conoscerne le intenzioni. Il generale Nugent
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licenziava con modi inurbani quel povero medico, dicendogli che per trattare con lui dovesse la città mandargli una deputazione di cittadini. Non perché si credesse che vi fosse qualche probabilità di convenire coll'Austriaco, ma per non lasciar nulla d'intentato che potesse risparmiare l'effusione del sangue, veniva mandata una Deputazione di tre distinti e benemeriti cittadini, cui si aggiungeva il medico militare suddetto. Questi trovavano quel corpo nemico accampato a Sant'Eufemia, distante tre miglia dalla città, e presentatisi al generale, lo stesso intimava loro che Brescia dovesse distruggere le barricate, deporre le armi ed arrendersi a discrezione.
Riportata da quella Commissione l'arrogante proposta del generale austriaco, il Comitato di difesa, fatto calcolo che, sebbene non fossero arrivati che in parte i fucili provenienti dal Piemonte e destinati per Brescia, si avevano ciò non ostante circa duemila armati, oltre il vantaggio delle barricate e dell'entusiasmo, che andava di mano in mano crescendo, abbracciava senz'altro il partito di sfidare l'Austriaco. I rappresentanti del Municipio però che quivi si trovavano si mostravano perplessi; ma siccome erano fra i più coraggiosi del corpo Municipale e vedevano, d'altra parte, l'inflessibilità del Comitato che tutt'al più accordava che si rimettesse la decisione al popolo, vi si uniformavano. Pubblicate al popolo dal balcone le esigenze del generale austriaco, prorompeva in grida di guerra e di sfida al nemico. Allora il Comitato di difesa scriveva al generale austriaco la seguente lettera:
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Al comandante le armate austriache nelle vicinanze di Brescia.
Abbiamo comunicato ai cittadini la vostra risposta, ed il popolo in massa ha respinto con indignazione le vostre proposte, proclamando che si deve vincere o morire, e che la città è pronta a resistere finchè sia ridotta in cenere. Nulla noi aggiungiamo alla potente voce del popolo, e ci siamo perciò determinati di sostenere con tutti i mezzi che abbiamo in nostro potere qualunque assalto.
Signore! Non confidate troppo nelle vostre forze; perchè la massa popolare di una città agguerrita non si vince che con un imponente esercito. Pensate che le vostre truppe saranno massacrate sotto le mura di questa città, e quindi quale responsabilità attirerete sul vostro capo con un progetto disperato.
Pensate inoltre che al principiare delle ostilità contro Brescia tutti i prigionieri e gli ammalati che abbiamo in nostro potere sarebbero massacrati dal furor popolare.
Il Comitato di pubblica difesa
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
li generale Nugent rispondeva al messo che aveva portata quella lettera, che il Comitato di difesa avrebbe avuto a che fare con lui.
Frattanto si pubblicava il seguente proclama:
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COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 26 marzo 1849.
LA PATRIA È IN PERICOLO.
Ora è il momento, o Bresciani, di agire e di far conoscere che le vostre promesse non furono millanterie. Gli armati accorrino davanti al teatro per ricevere le destinazioni. Chi non ha armi, le donne, i vecchi, i ragazzi, si adoprino a costruire barricate alle porte della città. Uniamo le forze, e difendiamoci. Non si tratta che di duemila uomini con due pezzi d'artiglieria, quasi tutti Italiani. All'armi, all'armi.
Unione - Costanza - Ordine.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
La maggior parte di quel corpo nemico portava infatti la divisa dei reggimenti italiani, ma non era che un inganno, giacché erano quasi tutti Croati. In quello stesso momento era pervenuto al Comitato un bollettino a stampa dell'esercito piemontese, che si rendeva di pubblica ragione col seguente proclama:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 26 marzo 1849.
Allo scopo che i cittadini abbiano cognizione degli eventi della guerra, si pubblica il seguente bollettino piemontese, or ora pervenuto.
Bollettino piemontese.
Il nemico ebbe l'audacia d'inoltrarsi sul nostro suolo; battuto da tutte le parti, tenta inutilmente ritirarsi al corpo.
La nostra vittoria è di diecimila tra morti e feriti, e quattromila prigionieri.
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Un corpo di quindicimila uomini è separato dal maggior corpo austriaco, e tenta invano di riunirsi.
Dal campo.
Firmato CHRZANOWSKI
Cittadini.
A fronte di tali vittorie riportate dai nostri prodi, vorrete voi gettare incancellabile macchia d'infamia sulla nostra città col cedere in faccia ad un piccolo distaccamento, che certe notizie dicono minore di duemila uomini? Quando i generosi figli di Brescia che combattono per noi in Piemonte ritorneranno in patria a raccontare le loro prodezze, come potrete nascondere la vostra viltà se mostraste loro delle catene? Il Comitato di difesa ha deciso di vincere o morire. Lo abbandonerete voi? Ah no! Brescia non smentirà il suo nome di città eroica.
All'armi adunque, alle barricate.
Ordine - Costanza - Ardire.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
I nemici frattanto andavano avanzandosi verso la città, ed impegnavano una scaramuccia coi nostri corpi-franchi che trovavansi sui ronchi, e si erano mossi ad incontrarli; ma resistito che ebbero per qualche tempo con coraggio, dovettero cedere all'esorbitante numero e ritirarsi sulle alture, lasciando agli Austriaci libero il passo verso la città. Allo scopo di rianimare maggiormente i cittadini e riunirli per sostenere la difesa, occorreva di suonare le campane a stormo, e su tale pro-
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posito gravi ostacoli incontrava il Comitato per parte dei Municipio pei seguenti motivi.
Fin dal giorno 24 il capomedico militare erasi presentato al Municipio pregandolo di provvedere ai bisogni degli ammalati, ed il Municipio ordinava che tutti gli ammalati fossero riuniti nello spedale di Sant'Eufemia, e che loro fossero somministrati quanti mezzi occorrevano, pregando i medici, dietro personale sicurezza, di continuare nel loro pietoso ufficio. Allora il capomedico si offriva spontaneamente di presentarsi al comandante del castello per indurlo a desistere dal bombardamento onde non esacerbare maggiormente il popolo. Andava, e ne riportava in risposta che il bombardamento cesserebbe e non sarebbe ripreso purchè il Municipio continuasse ad aver cura degli ammalati, mandasse ogni due giorni al comandante un rapporto dei medici militari sullo stato degli infermi, e non si suonassero le campane.
In vista di ciò, quando il Comitato di difesa propose di suonare a stormo, quasi tutte le persone del Municipio accolsero tale proposta con esclamazioni di paura e colla più ferma disapprovazione, dimostrando come al primo tocco di campana il comandante del castello avrebbe ripreso il bombardamento contro la città.
Il Comitato faceva loro conoscere che il suono della campana a stormo era necessario per eccitare l'entusiasmo, ed invitare i cittadini ad accorrere alla difesa, mentre non essendo il popolo armato e organizzato, non v'era altro modo per chiamarlo sotto le armi. Si osservava che, seguendo la consueta politica dell'Austria, il comandante del castello avrebbe o no bombardata la città, secondoché l'avesse più o meno trovato di convenienza, senza punto far calcolo delle promesse che
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aveva fatte al Municipio, spintovi, non per riguardi d'umanità, ma per coscienza della propria debolezza.
Sebbene tante volte ingannato dai generali austriaci nella sua buona fede, non voleva convenire il Municipio nell'opinione del Comitato; ma siccome frattanto il nemico andava avvicinandosi alla città, il Comitato stesso mandava senz'altro gli ordini perché si suonasse incessantemente a stormo. Il suono delle campane ripetuto in tutti i campanili della città produceva un effetto grandissimo, non solo in Brescia, ma anche al di fuori. In Brescia rianimava i cittadini di furioso entusiasmo facendoli accorrere alle porte della città, al di fuori arrestava nella sua foga il corpo nemico, il quale, atterrito dalle disposizioni prese contro di lui, dopo breve scaramuccia pensava meglio di ritornare a Sant'Eufemia. Non una bomba in tutto quel giorno fu dal castello scagliata sulla città. - Non era ancora il momento.
Altre comunicazioni pervenute al Comitato dalla campagna indicavano che i nemici diretti sopra Brescia non oltrepassavano i seicento. Verificavasi però in seguito che eransi ingannati quei corrispondenti per avere veduto soltanto una porzione di quel corpo, mentre il resto avea presa altra strada nel portarsi sulla città. Verso sera perveniva pure al Comitato un proclama del generale insurrezionale Gabriele Camozzi, in cui annunciava che la rocca di Bergamo stava per cadere in suo potere, e da persone di Iseo si raccontava che erano in quel paese pervenute notizie successive a quel proclama, che manifestavano essere stato distrutto il presidio con molto coraggio dei cittadini.
Quantunque non fosse officiale la notizia, il Comitato pensava di pubblicarla perché serviva a ridestare
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l'entusiasmo ed il desiderio dell'emulazione nei Bresciani, ciò di cui si aveva tanta necessità per il pericolo da cui si era minacciati. Si pensava d'altronde che, respinto che fosse il nemico, il popolo bresciano non si sarebbe avvilito quand'anche non si fosse verificata la notizia della vittoria di Bergamo.
Si pubblicava pertanto sulla sera il seguente proclama:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 26 marzo 1849.
Popolo bresciano.
Pare che il nemico non abbia avuto il coraggio di affrontarci durante il giorno per non far conoscere la sua debolezza. Forse potrebbe tentare un assalto nella vegnente notte, nella lusinga che, spiegando all'improvviso un vivo fuoco dall'esterno della città di concerto col bombardamento da parte del castello, fra le tenebre della notte possiate essere atterriti ed abbandoniate la difesa. Quanto s'inganni però ce lo comprova l'entusiasmo che scorgiamo in tutti i cittadini pronti a vincere o morire. Voi siete già a prova di bomba, perché finora il bombardamento non eccitò che allegria ai cittadini. I nemici esterni non oltrepassano i seicento.
Interpreti perciò del voto universale, li sfidiamo a qualunque ora. Poco importa che la nostra vittoria sia rischiarata dal sole o dell'illuminazione della città.
Comprenderanno pertanto i cittadini che necessita che a tutte le finestre verso strada siano esposti i lumi.
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In questo momento ci è giunto un proclama del generale insurrezionale Camozzi, il quale annuncia che la città di Bergamo ha digià ottenuta vittoria del presidio nemico. Domani sarà qui in nostro sussidio. I Bergamaschi usarono di ogni mezzo di offesa; sassi, tegole ed altri effetti venivano scagliati dalle finestre e dai tetti. Sarete voi meno di loro? No, per Dio! Brescia sceglierebbe la tomba in confronto del disonore. Secondate pertanto gli sforzi del Comitato, e la città sarà salva.
Unione - Costanza - Ardire.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Questo proclama veniva accolto con grida di gioia dai cittadini, in cui l'entusiasmo era giunto al colmo, e festanti attendevano che il tocco della campana dasse il segno dell'all'arme. Si rinforzavano i posti alle porte della città. La notte però passò tranquilla. Nello stesso giorno 26 l'avvocato Saleri, oppresso dalla malattia e dalle disgrazie di famiglia già enunciate, rinunciava al posto di dirigente il Municipio, ed il dottor Sangervasio che faceva le sue veci, dichiarava che colla rinuncia dell'avvocato Saleri cessavano anche le sue attribuzioni, non essendo che un incaricato del medesimo. Si riuniva perciò un Consiglio per rimpiazzare il posto lasciato dall'avvocato suddetto.
Tutte le vicende finora narrate non bastavano a convincere il Municipio che la città fosse in ribellione, e che non v'era più transazione da fare col nemico, ma che la questione dovesse decidersi colla ragion del più forte. Egli si riconosceva ancora suddito di Casa d'Austria, pubblicando il seguente
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Avviso.
MUNICIPALITÀ DI BRESCIA.
Seduta del Consiglio Comunale
del giorno 27 mano 1849, ore dieci antimeridiane.
La suprema necessità di conservare l'ordine e la sicurezza delle persone e delle sostanze in questa città, dopoché le autorità superiori hanno abbandonato l'esercizio delle loro attribuzioni lasciandola sprovveduta, in onta alle fatte istanze, d'ogni guarnigione, difesa e tutela, ha indotto il signor dottor Girolamo Sangervasio col concorso di una eletta di cittadini convocati a tale uopo, a demandare parte dei poteri a lui conferiti dall'avvocato Saleri ad un comitato composto dei signori Luigi Contratti e Carlo Cassola, affinché provvedessero alla difesa della patria nell'urgenza delle circostanze.
I sopravenuti movimenti, i bombardamenti tre volte ripresi sulla città e la vicinanza di un corpo di milizia imperiale, hanno suscitato nel popolo la massima esacerbazione; ma l'indole generosa della popolazione l'ha salvata fin qui dalle estremità della guerra, conservando incolumi gli stessi ammalati militari lasciati alla sua protezione.
Continuando però il pericolo, ed il governo della cosa pubblica trovandosi tuttavia concentrato nel solo Municipio, e l'unica forza nel popolo armato, l'adunanza di consiglieri comunali e di altri cittadini in numero di trentotto, convocatisi in questo giorno, ha deliberato ad unanimità quanto segue, ed ha votato la pubblicazione del seguente
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Processo verbale.
Attesa la necessità imperiosa di provvedere straordinariamente alla sicurezza delle persone e delle cose, resta confermato interinalmente nel signor dottor Girolamo Sangervasio ogni potere già conferito al benemerito avvocato Saleri, compresa la facoltà di aggregarsi quella persona che più credesse opportuna per ogni ramo della pubblica amministrazione, con pieno mandato di avvisare al miglior possibile andamento della cosa pubblica, anche costituendo un corpo armato nazionale, che, come in altra epoca, ha meritato l'universale encomio, così anche negli attuali bisogni si presti, munito delle armi necessarie, tanto lasciate dal militare, quanto provvedute e da provvedersi al di fuori.
È approvata ad unanimità ogni misura fin qui attivata dal signor Sangervasio, subentrato nella dirigenza municipale per i poteri trasmessi dal Consiglio del 22 marzo corrente, oltre a quelli straordinariamente attribuitigli in questo giorno, e nel mentre si votano ringraziamenti ad esso Sangervasio ed al Comitato di pubblica difesa, si lascia allo stesso Sangervasio di avvisare al completamento degli uffici dipendenti, per tutte le misure ch'egli crederà del caso, così pure alla provvista dei mezzi e relativa esecuzione.
Per estratto conforme
Il ff. di presidente del Consiglio
Firmato ANTOSIO BASILETTI.
I cittadini saranno grati al Municipio delle fatte istanze, perchè i mastini austriaci tenessero in Brescia forte
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guarnigione, come se egli trovasse più sicure le vite e le proprietà in mano ai Croati, che non affidandole al generoso popolo bresciano. Evviva il Municipio!
Ove il Comitato di difesa avesse creduto di piegare il collo alle disposizioni prese dal Consiglio municipale, la di lui coscienza politica ed il di lui onore non gli avrebbero permesso di conservarsi in posto, perché con poteri limitati e dipendenti non si provvede alla difesa di una città ribellata, assalita da un esercito al di fuori e bombardata dalla guarnigione del castello nell'interno; ma sicuro ormai del voto della nazione (meno i pusillamini), che faceva eco alle sue disposizioni di guerra, non fece alcun calcolo del conchiuso votato da trentotto uomini, quasi tutti partigiani dell'aristocrazia o della paura; e infatti cosa sono pochi illusi in confronto di un popolo intero? Molti cittadini della più scelta gioventù, indignati di un tal procedere del Municipio, eransi presentati al Comitato, eccitandolo ad agire indipendentemente dal medesimo, mostrandosi anche pronti, ove il Comitato lo avesse creduto opportuno, di fare una dimostrazione contro lo stesso Municipio, onde fargli conoscere che non dovesse ingerirsi ulteriormente nei destini della città. Il Comitato faceva loro conoscere la sua determinazione di volere con ogni mezzo possibile difendere la città, ma che d'altra parte si lasciasse pure che il Municipio tenesse la sua via della legalità, che per nulla nuoceva ai progetti del Comitato stesso, il quale in via di fatto agiva con poteri illimitati, siccome inerenti alla sua destinazione, e che perciò non potevano essergli scemati. Rifletteva d'altra parte che il cittadino dottore Girolamo Sangervasio, uomo di mente giudiziosa e di cuore patriottico, al quale erano stati dal Municipio concentrati tutti i po-
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teri, non partecipava della debolezza de' suoi colleghi. Accettando quell'incarico, aveva compreso che ad esso stava collegato, il sacrificio del proprio individuo, e che doveva perciò seguire il destino della città. Egli pure era persuaso che soltanto colla resistenza Brescia poteva salvarsi dalla rabbia del Croato; e perciò conveniva nelle disposizioni prese dal Comitato di difesa, che anzi egli stesso, con un ben concepito proclama che non ho potuto procurarmi per qui tracciarlo, secondava l'entusiasmo patriottico dei cittadini. Essendo pertanto egli ed il Comitato d'accordo nel fine, s'accordavano facilmente riguardo ai mezzi, per cui il Comitato stesso ebbe la soddisfazione di non essere ulteriormente contrariato in tutte le misure che andava adottando per provvedere alla difesa di Brescia.
Intanto il generale Nugent si disponeva a dar l'assalto alla città. Alle due pomeridiane del 27 marzo cominciava l'attacco, concentrando specialmente il fuoco a porta Torrelunga. Nello stesso tempo il castello da quattordici bocche vomitava incessantemente bombe, palle infuocate e razzi. Sembrava che un vulcano si fosse rovesciato su quella povera città. Chi dall'esterno contemplava quello spettacolo d'orrore ne piangeva il destino come se dovesse frappoco vederla in cenere col sacrificio, di tutti i cittadini. Pochi avevano la forza d'animo di resistere alla vista di tanto disastro. Eppure, oh divino portento! Brescia non fu mai sì maestosa e festevole come in quel momento. Le grida di gioia risuonavano dovunque. Le bombe e le palle della moschetteria sembravano l'elemento nel quale soltanto i cittadini potessero gustare la felicità. Ad ogni bomba che vedevano cadere vicina, viva Italia! gridavano gli armati, mentre i ragazzi accorrevano festosi a racco-
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glierne i pezzi. Se taluno cadeva alle barricate, i vicini suoi compagni lo consegnavano a persone pietose perchè avessero di lui cura, e riprendevano subito il posto abbandonato. Non un lamento partiva da quei petti feroci; i feriti gravemente infondevano negli altri il coraggio che dessi non potevano più mettere a profitto, i leggermente feriti mostravano esultanti le onorate lezioni e continuavano a combattere. Diversi si portarono all'ospitale, e dopo medicate e fasciate le ferite, tornarono alle barricate.
Il coraggio e l'entusiasmo dei cittadini era veramente stupendo, e per descriverlo vi vorrebbe ben altra penna che non la mia. Chiunque ha cuore sensibile ed amore di patria non avrebbe potuto trattenere le lagrime della compiacenza al vedere Brescia in quell'istante tremendo. Dessa era una città di eroi. Il creatore istesso si sarà in quel momento gloriato dell'opera sua. Meritava adunque il destino che poscia ha dovuto subire? Tralasciamo queste considerazioni, che offuscano l'intelletto.
Il fuoco durò incessantemente per quattro ore, ma nessun vantaggio potè ritrarne il nemico. Non una barricata fu abbandonata, per cui, deluso nella sua speranza di vendetta e di bottino, ed avvilito, dovette ritirarsi a Sant'Eufemia, dopo aver subita una perdita d'uomini ben maggiore della nostra. Anche nel castello eransi scemati i cannonieri, perché alcuni cittadini, abili bersaglieri muniti di stutzen, dai campanili o da altri nascondigli vicini li prendevano di mira, e di rado sbagliavano il colpo.
La città di Brescia aveva acquistata la vittoria di quel giorno a poco prezzo di sangue. Il danno prodotto dalle bombe ai caseggiati era piuttosto rilevante, ma
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meno di quello che si aspettava da un bombardamento continuato con tanta insistenza per quattro ore. Sul finire della lotta erano state lanciate delle grosse palle di sasso invece di bombe, una delle quali, di smisurata grossezza, fu portata al Comitato, per cui ragionevolmente si credeva che la guarnigione del castello difettasse di tali materiali da guerra. Quattro bombe erano cadute sull'ospitale civile, destando grande spavento e danno agli ammalati e generale indignazione nei cittadini, per cui il Comitato diffidava il comandante del castello che ad ogni bomba che avesse colpito ancora l'ospitale si sarebbero uccisi dieci degli infermi militari che avevamo in nostro potere. In seguito a tale intimazione quel sacro luogo fu sempre rispettato (1).
La sera che susseguì a tale lotta fu un vero tripudio per Brescia. Non era la gioia frivola, ricercata dei giorni di fiera. Era il sentimento della propria dignità che esaltava i cuori, il convincimento d'aver adempito ad un sacro dovere che dava vita all'anima e la inebriava di piacere. La città veniva illuminata. Il Comitato di difesa aveva rilasciati dei boni ai capiposti perchè provvedes-
(1) Alcuni giornali austriaci si scatenarono contro il Comitato di pubblica difesa in Brescia tacciandolo di selvaggia ferocia, per avere, come dicevano, fatti massacrare gli ammalati militari e gli altri prigionieri di guerra. Sappiano però quei satelliti dei dispotismo che gratuitamente lanciarono tali imputazioni, che il Comitato ed il popolo bresciano non attinse la sua politica alla malvagia scuola di Casa d'Austria; e sebbene nelle corrispondenze co' propri aggressori minacciasse qualche volta l'esterminio dei prigionieri di guerra, nol fece che per tentare con tale mezzo di rimuovere i bombardatori dai loro progetti di distruzione, ma in realtà i prigionieri furono trattati con tutta l'umanità. I Bresciani non sono croati.
(Nota dell'autore.)
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sero cibo e vino agli armati da essi dipendenti, con diffida però di usare la debita parsimonia nel vino, mentre sarebbe stato dichiarato indegno di difendere la patria e disarmato colui che si fosse ubbriacato.
Appena cessata la lotta il Comitato aveva pubblicato il seguente proclama:
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, il 27 marzo 1849 ore sei e mezza pomeridiane.
Cittadini!
Il vostro nome alla posterità e assicurato. Voi vi difendeste da leoni. Il nemico trovasi nell'avvilimento perché gli imponenti mezzi di guerra coi quali credeva atterrirvi non hanno fatto che accrescere il vostro entusiasmo. Ormai ha consumati tutti i suoi mezzi guerreschi, e quindi non dovete far altro che dar compimento alla vittoria nello stesso modo che l'avete incominciata.
Italia tutta farà plauso a tanta prodezza.
Ordine - Costanza - Unione
Firmati CASSOLA - CONTRATTI.
Prima della rivoluzione, sotto il ferreo giogo del governo militare austriaco, molte aggressioni si commettevano in città, in numero esorbitante nelle campagne. Lo scoppio del vulcano rivoluzionario sviluppa sempre nelle popolazioni i sentimenti più nobili dell'uomo e ne sopprime i vizi. D'altra parte, la patria in tali casi ha sempre bisogno di braccia, e nessuno in tempi di libertà è costretto di ricorrere al delitto per procurarsi i mezzi di sussistenza. Per tali circostanze i delitti di rapina
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non trovavano ormai più ricetto nella buona indole dei Bresciani; ciò non bastava, volevasi toglierne affatto la radice minacciando l'infamia e la morte ai pochi che non si fossero ancor ravveduti, unendo il loro destino a quello delle spie.
Pubblicavasi perciò il seguente decreto:
N° 46.
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 27 marzo 1849.
Mentre l'entusiasmo patriottico predomina la mente ed il cuore di questa generosa popolazione, purtroppo alcuni vermi malnati, calpestando ogni dovere sociale, osano in questi momenti sacri alla patria commettere il più abominevole fra i delitti, quello cioè di violenza alle persone, allo scopo dì impadronirsi delle sostanze. Se pertanto da una parte il Comitato di difesa va superbo di trovarsi in circostanze da prestarsi alla salvezza di sì eroica popolazione, conosce, dall'altra, gli obblighi che si trovano inerenti al suo difficile incarico; e perciò, mentre fa plauso alla massa dei cittadini che fanno onore alla loro patria con azioni generose, ha determinato di adottare le misure più rigorose contro questi esseri indegni del nome bresciano.
SI DECRETA QUINDI:
Tutti quelli che verranno colti in flagrante delitto di rapina saranno assoggettati ad una Commissione di giudizio statario e condannati alla pena di morte colla fucilazione.
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Allo stesso giudizio ed alla stessa pena verranno assoggettati anche coloro a carico dei quali sarà provato lo spionaggio a favore del nemico.
Tale Commissione di giudizio statario viene composta dei seguenti cittadini:
Contratti Luigi - Cassola Carlo - Prestini Giambattista.
I buoni cittadini faranno eco senza dubbio a questa misura straordinaria di giustizia, e la loro approvazione basta ai sottoscritti.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Dopo la pubblicazione di questo decreto non fu più commesso alcun delitto di rapina, e quanto alle spie, molte se ne ebbero nelle mani, ed avrebbero certamente subita la meritata pena; ma la brevità del tempo non concesse che fosse finita alcuna procedura.
L'accennata Commissione di giudizio statario nel giorno successivo subiva cambiamento, attesa la rinuncia del cittadino Prestini per impegni di famiglia. In proposito si pubblicava il seguente:
N.° 70.
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849.
Avviso.
Attesa la rinuncia del cittadino Prestini Giambattista al posto assegnatogli nella Commissione di giudizio statario, nominata con decreto a stampa di ieri giorno, gli si sostituisce il cittadino Ulisse Marinoni,
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e perciò tale Commissione viene composta dei seguenti cittadini:
Contratti Luigi - Cassola Carlo - Marinoni Ulisse.
I membri del Comitato
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Il 28 marzo passava tranquillo. Arrivava un altro convoglio di fucili, e, secondo il solito, una folla di popolo accorreva al Comitato per aspirare al possesso di quegl'istromenti tanto desiderati, per cui in un momento venivano distribuiti; ma troppo scarso ne era il numero al confronto di quelli che li ricercavano, e molti perciò si allontanavano dolenti per non aver potuto raggiungere la meta dei loro ardenti desideri.
In detto giorno il Comitato pubblicava i seguenti proclami:
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA
AL POPOLO BRESCIANO.
Brescia, 28 marzo 1849.
Il 27 marzo di Brescia sarà trasmesso ai posteri del paro coi più gloriosi giorni che rifulsero a Milano e Palermo durante la lotta per l'indipendenza italiana. -
Nel precedente giorno 26 un'armata nemica presentavasi nelle vicinanze della città. Alla Commissione di tre distinti cittadini, speditagli incontro a Sant' Eufemia per conoscere quali fossero le sue intenzioni, imperiosamente rispondeva che gli si dovevano aprire le porte e consegnare i prigionieri di guerra.
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Il Comitato di difesa allora, dopo aver consultato a voto del popolo, rescriveva quanto segue:
Al comandante le armate austriache nelle vicinanze di Brescia.
Abbiamo comunicato ai cittadini la vostra risposta, ed il popolo in massa ha respinto con indignazione le vostre proposte, proclamando che si deve vincere o morire, e che la città è pronta a resistere finchè sia ridotta in cenere. Nulla noi aggiungiamo alla potente voce del popolo, e ci siamo perciò determinati di sostenere con tutti i mezzi che abbiamo in nostro potere qualunque assalto.
Signore! Non confidate troppo nelle vostre forze; perchè la massa popolare di una città agguerrita non si vince che con un imponente esercito. Pensate che le vostre truppe saranno massacrate sotto le mura di questa città, e quindi quale responsabilità attirerete sul vostro capo con un progetto disperato.
Pensate inoltre che al principiare delle ostilità contro Brescia tutti i prigionieri e gli ammalati che abbiamo in nostro potere sarebbero massacrati dal furor popolare.
Il Comitato di pubblica difesa
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Ieri giorno il comandante nemico minaccioso si presentava davanti alla città, ed il popolo bresciano, fermo nelle sue promesse, avrebbe senza dubbio effettuato lo sterminio delle sue truppe, se prudentemente non le avesse salvate colla ritirata.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
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COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849.
LE BARRICATE.
Questa felice istituzione dei popoli per fiaccare la potenza di forze materiali, diabolicamente congegnate a ruina della società, deve essere non solo conservata, ma migliorata.
Frattanto pensiamo noi a trar profitto degli importanti vantaggi di tale istituzione.
Le guardie nazionali si lagnano, ed a ragione, al vedere tanti individui colle mani in mano, e che non hanno altro scopo se non quello di appagare la propria curiosità, raccogliendo notizie, mentre ad esse tocca vegliare giorno e notte per la causa comune. Nessuna scusa che valga, possono addurre i neghittosi in questi momenti d'azione. Chi non ha armi può prestare colle braccia importante sussidio; le barricate li aspettano. Chi non ha forza di braccio, avrà una voce per incoraggiare, mani per apprestar cibi ai lavoranti, cuore per offrir loro ricovero ove ne avessero di bisogno.
Tutti i cittadini adunque devono prestare qualche sussidio alla causa, e guai agli inerti.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 28 marzo 1849.
Per meglio facilitare la difesa della patria
SI ORDINA:
Chi venderà fucili ricevuti dal Comitato sarà arrestato e condannato alla multa di lire cinquecento per
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ogni fucile. Chi terrà armi da fuoco senza farne il debito uso a pro della patria, sarà arrestato, e le armi saranno confiscate, e subirà altresì una multa da determinarsi.
Chi non sa usare armi da fuoco che possedesse dovrà consegnarle al Comitato di difesa per la distribuzione, salva la restituzione a suo tempo, altrimenti sarà arrestato e multato.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Le colonne che eransi specialmente distinte a respingere il nemico nel precedente giorno 27 a porta Torrelunta, erano quelle dirette dai cittadini Antonio Bosi e Speri, giovani ardimentosi e di mente svegliata.
La colonna dello Speri verso sera di questo giorno 28 marzo, dolente perché il nemico non fosse venuto a cimentarsi, faceva una sortita da porta Torrelunga per andarlo ad incontrare fin presso i suoi alloggiamenti. Quei prodi venivano sostenuti dai corpi-franchi che difendevano il loro fianco sinistro dalla parte dei ronchi. Incontravano a San Francesco di Paola un distaccamento del nemico, ma in numero ben maggiore di loro, e munito di due cannoni. Lo stesso nemico veduti i nostri, in piccol numero, per allettarli ad avanzarsi e trarli nel laccio faceva suonare a stormo a Sant'Eufemia per far credere che quel paese si fosse sollevato. Lo Speri però, veduta l'impossibilità dell'impresa ed inutile il sacrificio de' suoi, ordinava alla colonna di ritirarsi verso la città, se non che taluni, dominati da disperato coraggio, insistevano perché non si dovesse lasciar posa al nemico, e tacciavano di vile il loro capo, e lo dicevano indegno di guidarli, ove non avesse abbracciato il partito di inseguire il nemico. Un tale rimprovero, seb-
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bene immeritato, ridestava un incendio in quell'intrepido cuore giovanile, e soffocava in lui ogni calcolo della mente, per cui, alzata la spada, seguitemi, disse, e senza badare che trenta soli uomini si mostravano determinati a quel sagrificio, si lanciava alla loro testa sulla falange nemica.
Breve, ma accanita fu la lotta, giacché, circondati da ogni parte, non rimaneva loro altro scampo che aprirsi la strada sui cadaveri dei nemici. Taluni di quei prodi rimanevano sul campo, cinque erano fatti prigionieri, fra' quali l'intrepido Speri. Questi però poco dopo, quasi per miracolo, riusciva a fuggir loro di mano, riportando soltanto leggier ferita al capo. Per quanto mi consta, fra i martiri di quella fazione trovaronsi un Nullo, un Lovatini ed un Tagliani. La patria, mentre deplora il sagrificio di quegli eroi, serberà grata ricordanza ai loro nomi; e mi duole di non conoscerli tutti per poterli dare alla pubblica venerazione.
Per evitare altri consimili sacrifizi di giovani troppo ardenti, il Comitato pubblicava il seguente:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Per evitare qualunque disordine dell'uso della forza armata, e per moderare l'ardore sfrenato di alcuni che anelano di abbattere il nemico, lo che può portare delle sinistre conseguenze, si ordina che nessuno possa intraprendere qualsiasi impresa fuori di città, senza avere riportato l'assenso del Comitato di difesa.
Brescia, 29 marzo 1849.
Firmati CONTRATTI - CASSOLA
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Nella notte dal 28 al 29 era venuto un corriere da Orzinovi, distante dicianove miglia della città, ad annunciare al Comitato ch'era quivi arrivato un convoglio di diciasette carriaggi carichi, accompagnato da pochissima scorta, e diretto verso Crema. Si mandavano tosto due Omnibus carichi di armati per sorprendere quel convoglio, ma essendosi perduto tempo per rintracciare una persona alla quale il Comitato bramava affidare quell'impresa, vi arrivavano un'ora più tardi del bisognevole. Inseguivano quel convoglio per qualche tratto verso Soncino, ma non si arrischiavano d'inoltrarsi di più, per cui quell'impresa ebbe a mancare.
Nel mattino del 29 si pubblicava il seguente:
IL COMITATO DI PUBBLICA DIFESA
Conoscendo che molti dell'armata austriaca disertano e girano senza destinazione, ha deliberato che tutti quei disertori che si presenteranno allo stesso Comitato con fucile saranno premiati colla somma di correnti lire cinquanta, e saranno altresì protetti e giornalmente sussidiati colla paga di lire 1.50.
Brescia, 29 marzo 1849.
Firmati CONTRATTI - CASSOLA
A causa dei continui allarmi, non avevasi mai avuto campo di organizzare la guardia nazionale, per cui non vi erano che pochi capi di colonne, composte specialmente di contadini, mentre la maggior parte del popolo armato della città non era che sotto la direzione di capipattuglia, e molti anche non avevano alcun capo.
Nel giorno 28 erasi ordinato a tutti gli armati di presentarsi al dì successivo nelle rispettive parrocchie per eleggersi i capi, e si erano dirette le opportune istru-
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zioni ai parrochi ed altri distinti cittadini; ma un allarme aveva impedita tale sistemazione, per cui si pubblicava il seguente:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 29 marzo 1849.
Non avendo avuto compimento la sistemazione della guardia nazionale colla convocazione seguita nelle parrocchie al mezzogiorno d'oggi, si ordina che tale convocazione dovrà rinnovarsi nel giorno di domani 30 marzo, alle ore dodici del mezzodì.
A tale convocazione dovranno intervenire indistintamente tutti coloro che sono domiciliati in città, sia che abbiano armi proprie od armi avute dal Comitato, e sia che ricevino soldo o che si prestino gratuitamente, non avuto riguardo alle antecedenti iscrizioni. Tutti quelli che si troveranno in servizio nell'ora prefissa, faranno pervenire alla parrocchia i loro nomi colla indicazione della compagnia a cui appartengono:
Nessuno manchi per compire un ordine che tanto deve giovare alla patria.
Firmati CONTRATTI - CASSOLA
Anche in seguito a questo secondo invito, non ebbe luogo la sistemazione che in qualche parrocchia.
Ma la mancanza maggiore a cui il Comitato di difesa non sapeva come provvedere era quella di un comandante in capo di tutte le forze, e nessuno si trovava in Brescia al quale si potesse coscienziosamente affidare un sì importante incarico; eransi, per vero dire, presentati al Comitato alcuni ufficiali italiani in riposo, ed altri erano stati proposti da qualche cittadino; ma come fidarsi di uomini che avevano offerto volontariamente
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il loro braccio a sostegno dell'aquila grifagna, e che, per avere in tal modo rinnegata la loro patria, avevano ottenuto quei gradi nell'armata? Di più, avendo passati tanti anni di vita all'ombra di quelle nefande bandiere sotto le quali ancora militavano tanti loro amici, non era naturale il credere che ne avessero succhiati i vizi? Si poteva sperare che tali uomini fossero liberali? Gli uomini non cambiano in un àtomo le inveterate abitudini. È bensì vero che si erano l'anno scorso compromessi prestando servizio sotto il Governo Provvisorio, per cui erano stati privati della pensione al ritorno degli Austriaci; ma non era men vero che dessi avevano offerti i loro servizi alla patria quando era già compiuta la rivoluzione e tutto si vedeva di color di rosa, per cui, anzichè da amore di patria, potevano essere stati spinti dall'amor della paga, e sebbene ora potessero per la stessa ragione prestare l'opera loro, non era però prudente l'affidare i destini della patria ad una colonna sostenuta dall'interesse; e i varii tradimenti del precedente anno avevano fatto conoscere quanto si possa fidare di uomini che hanno servito il dispotismo.
Per tali riflessi il Comitato di difesa aveva prefisso di cadere piuttosto per inesperienza che mettersi al pericolo di esser tradito; e quindi, invece di un comandante in capo, non avea formati che dei comandanti di colonne, assegnando a ciascuno una porta della città, scegliendo all'uopo giovani di sicuro patriottismo che, sebbene non avessero pratiche cognizioni militari, potessero in qualche modo supplirvi col talento naturale e col loro coraggio. Agli accennati exufficiali il Comitato, consigliava di afferrare un fucile come gli altri cittadini, e con esso portarsi ove più si manifestava il pericolo; che quivi esponessero pure ai capi-colonne quei piani di
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difesa che le circostanze e le loro cognizioni gli suggerissero, che verrebbero senza dubbio volontariamente accolti da quelle persone intelligenti, osservadosi loro che soltanto dopo le azioni si, sarebbero distribuiti i gradi ed i premii.
Diversi altri brigatori di posti eransi presentati al Comitato o producevano analoghe istanze; ma facendosi loro conoscere l'obbligo di tutti i cittadini di prestarsi gratis per il bene della patria, non insistevano ulteriormente per gli impieghi, e così tutte le mansioni furono distribuite a persone disinteressate, ed il servizio riesciva senza abusi perchè aveva per base l'amore di patria, non il sordido interesse.
Mentre la città di Brescia andava disponendosi risolutamente alla resistenza, attendeva ansiosa l'esito delle armi in Piemonte.
Nel 28 marzo un corriere aveva portata al Comitato di difesa una lettera di un corrispondente di Cremona, nella quale si raccontavano i fatti di Novara, l'abdicazione di Carlo Alberto, perché veniva designato come traditore, e l'armistizio del duca di Savoia; e soggiungevasi che subito dopo le Camere di Torino avevano ad acclamazione dichiarata la casa di Savoia decaduta dal trono, e nominato dittatore Chrzanowski, il quale, purgato l'esercito col far fucilare diversi ufficiali del partito dei nobili, e spiegata bandiera rossa, aveva intimata guerra a morte a Radetzky, e che infatti nei successivi giorni 25 e 26 aveva tuonato incessantemente il cannone. Nello stesso giorno venivano intercettati alcuni dispacci di Radetzky diretti a Verona, in cui pure si annunciava l'abdicazione di Carlo Alberto e l'armistizio conchiuso col di lui successore Vittorio Emanuele. Conoscendo però il Comitato che numeroso era ancora in Brescia
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e specialmente fra le persone più influenti, il partito albertista, pensò di sospendere la pubblicazione di tali notizie, onde i cittadini che unanimi combattevano per scacciare il nemico, non fossero agitati dalla face della discordia nascente da questioni di politica. Nel successivo giorno 29 altri due corrispondenti annunciavano le cose superiormente indicate, ed aggiungevano che, in seguito alla battaglia del giorno 25, Chrzanowski aveva costretto il maresciallo austriaco ad un armistizio, in conseguenza del quale doveva portarsi a Veronetta oltre l'Adige, abbandonando pur anco le fortezze di Mantova e Verona.
Tali notizie venivano pure confermate verbalmente al Comitato da due militi della legione lombarda, fatti prigionieri sotto Novara, e lasciati in libertà a Cremona in conseguenza, come dicevano, dell'armistizio Chrzanowski. Avevansi pertanto ormai prove irrefragabili del tradimento del re sabaudo, e già circolavano per la città dei bollettini privati indicanti le cose suesposte, e taluni di quelli che le annunciavano venivano, per analogia al sistema introdotto nell'anno scorso, tacciati di spia ed arrestati, per cui onde evitare ulteriori inconvenienti, il Comitato di pubblica difesa pubblicava il seguente proclama, mandando in pari tempo persone in Piemonte per verificare lo stato delle cose.
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 29 marzo 1849.
Cittadini!
Questo Comitato, inteso soltanto a far la guerra all'Austriaco, tacque finora a voi le questioni politiche
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che si stavano agitando in Italia, e specialmente in Piemonte, onde i Bresciani non pronunciasssero che un solo grido: fuori lo straniero, viva l'indipendenza. Ormai però agli eventi politici fu tolto il velo del dubbio, e la verità luminosa risplende. Non potendo perciò aver luogo questione in argomento, la cognizione dei fatti politici non può dividere i cuori di chi combatte per l'indipendenza.
Pienamente persuaso il Comitato di questa massima, proclama senza esitare:
Carlo Alberto è traditore.
Viva il generale Chrzanowski, liberatore d'Italia. Varie lettere dal Piemonte, alcuni dispacci del nemico intercettati, l'inoltro dell'esercito austriaco fino nel cuor del Piemonte, ed altre influenti ragioni che sarebbe troppo lungo l'esporre, facevano noto al Comitato il tradimento di Carlo Alberto; ma conoscendo, d'altra parte, per sicura fonte quanto prode e leale fosse Chrzanowski, comandante in capo dell'esercito piemontese, sperava da lui la salvezza della patria; ed egli infatti l'ha salva.
Oggi, dissi, il tradimento del re non è più questione, è un fatto.
Costretto dalla nazione piemontese a far la guerra sotto la direzione di Chrzanowski, con minaccia di levargli la corona in caso di rifiuto, si metteva d'accordo con Radetzky per abbattere i comuni loro nemici, i liberali. Conosciuto questo accordo infernale dalla stessa nazione piemontese, e udendosi dovunque chiamar traditore quando la brigata Savoia da lui guidata, insieme ad un distaccamento austriaco, saccheggiava Novara, abdicava il trono, che vedeva perduto, al duca di Savoia. Questi, che era suo figlio,
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conchiudeva un armistizio di otto giorni con Radetzky. Scoppiava allora l'indignazione dei Piemontesi, e lo stesso parlamento di Torino ad acclamazione di popolo dichiarava Carlo Alberto e tutta la sua dinastia decaduti dal trono, nominando dittatore Chrzanowski. Questo Grande accettava sì importante incarico, e tutti i buoni si stringevano intorno a lui. Scopriva egli allora le fila del tradimento, in parte dell'esercito, e facendo fucilare molti ufficiali traditori, purgava l'esercito stesso; indi, rotto l'armistizio, intimava guerra a morte a Radetzky, e dopo due giorni di sanguinosissimo combattimento la vittoria fa per la buona causa.
Allora non era Radetzky che accordava armistizio, ma Chrzanowski lo accordava a lui, dettandogli questi vantaggiosissimi patti: gli Austriaci si ritireranno fino a Verona, lasciando perfino in nostro potere le fortezze di Peschiera e Mantova.
Bresciani!
Voi vi ricordate quante difficoltà si facevano insorgere per prendere Peschiera, e che Mantova si diceva inespugnabile. Che volete? Chrzanowski ha trovato il segreto di conquistarla, tenendosi alla distanza di un centinaia di miglia. Oh questi sì che si ponno dire prodigi! Essi gli procureranno l'immortalità nella storia. Molti corrispondenti ci assicurano queste notizie.
Se questa vittoria ci assicura già l'indipendenza, nessuno però per qualche giorno ci può salvare dalla vendetta del Croato, tranne il vostro valore, o cittadini. Probabilmente saremo presto assaliti da un corpo di nemici, sempre però inferiore a noi di numero, e
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sebbene egli abbia il vantaggio delle bombe, noi abbiamo quello del coraggio maggiore, della santità della causa e delle barricate. Vengano adunque questi aggressori; e, invece di oro, getteremo del piombo nelle loro bocche, voraci. Sia questo il nostro grido nel combattimento: Morte agli Austriaci, morte a Carlo Alberto.
Viva Chrzanowski, viva I'indipendenza.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI
Gran parte del popolo, come già si è notato, aveva ravvisato il tradimento nelle azioni di Carlo Alberto del precedente anno, e perciò fece eco alle pubblicate notizie ed al giudizio pronunciato dal Comitato, e quelli che erano ancora titubanti se ne resero ormai persuasi, per cui ravvisando tutti i cittadini che non v'era più altra strada a tenersi tranne quella della repubblica, cominciarono ad inalberare bandiere rosse che venivano accolte con trasporto di gioia e colle grida: - viva la repubblica, viva l'Italia, viva Chrzanowski. - Soltanto pochi ultra albertisti furono prostrati all'annuncio di quelle notizie, e sembrando loro impossibile che l'Italianissimo fra gli Italiani potesse tradire, riprovarono altamente il proclama del Comitato di pubblica difesa, come intempestivo, lusingandosi ancora che le comunicate notizie potessero venire smentite. Pur troppo, non erano sincere, ma solo perchè non erasi aggiunto Chrzanowski ai traditori.
Nel successivo giorno 30 una persona di lealtà e patriottismo a tutta prova comunicava, mediante lettera al Comitato, di aver veduto in possesso di un viaggiatore un bollettino a stampa, di cui ne includeva copia autentica, che si rendeva tosto di pubblica ragione col seguente:
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COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
In questo punto un corrispondente di tutta fede comunicò a questo Comitato copia autentica di un bollettino a stampa del campo piemontese, concepito nei seguenti termin
Ordine del giorno.
Italiani, sì Piemontesi che Lombardi! Voi siete valorosi e degni figli d'Italia! .... Voi vedeste il nemico, ed egli fu vinto. Ora ritornerete colle vostre stesse mani a piantare il vessillo tricolore sull'Adige, lo vedrete, ve lo assicuro, sventolar sulle rive dell'Isonzo.
25 marzo 1849.
Firmato CHRZANOWSKI
Bollettino.
Il giorno 25 Radetzky proponeva un armistizio, che fu rigettato dal valente Chrzanowski. Il 25 due divisioni (venti quattromila uomini) avanzavansi baldanzosi sul ponte della Sesia, inseguendo piccolo corpo di Piemontesi in finta ritirata. Appena una di queste divisioni fa passata, il ponte, già prima minato, balzò, dividendo così l'armata austriaca. La divisione ora trovasi al cospetto di quarantamila uomini, comparsi quasi per incanto. S'impone la resa. La divisione rifiuta, e le nostre artiglierie fulminano da ogni lato. I nostri soldati assalgono il nemico di fianco alla baionetta. I Tedeschi si avvoltolano nella polvere, lasciando nude le file. Radetzky, vedendo irreparabile una sconfitta, innalza bandiera bianca, intanto che la predetta divisione deponeva le armi. Dopo breve, ma
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franco parlamento, fu conchiuso l'armistizio in questi termini:
1.° Radetzky sgombrerà subito il Lombardo col restante dell'armata, ritirandosi in Veronetta oltre l'Adige;
2.° Il Lombardo verrà immediatamente occupato dalle truppe sarde;
3.° Restituzione di tutti i prigionieri piemontesi e lombardi;
4.° Detenzione dei prigionieri tedeschi in Piemonte;
5.° Rispetto alle vite ed alle proprietà d'ogni provincia lombarda;
6.° Sull'Adige nuovi trattati riguardo al veneto.
Cittadini!
A tali notizie non occorre far comenti per destare entusiasmo. Rispettiamo i patti del grande Chrzanowski e quindi tregua coi nostri nemici. Se però fossimo assaliti, imitate i nostri fratelli che si trovano in Piemonte.
Firmati CASSOLA - CONTRATTI.
Frattanto Nugent, avendo esperimentato il valore dei Bresciani nell'assalto del giorno 27, e conosciuta la sua impotenza, avea chiesti rinforzi, ed infatti nel giorno 29 gli erano arrivate altre dodici compagnie (millecinquecento uomini circa), con tre pezzi di cannone, per cui in complesso i nemici al di fuori sommavano a tremila cinquecento uomini con cinque pezzi di cannone, e la guarnigione del castello era forte di circa seicento uomini con quattordici pezzi di artiglieria. Anche in Brescia si erano accresciuti i difensori per es-
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sere arrivato nel giorno 29 altro convoglio di fucili provenienti dal Piemonte.
Come già si accennò, duemila erano i fucili dal Comitato insurrezionale destinati per Brescia, ma in effetto non ne pervennero che milleottocento. Aggiungendo poi a questi i pochi che si trovavano in Brescia, e tutti quelli che il Comitato di difesa poté raccogliere qua e là per la provincia, se ne avevano in complesso tremila circa, ed a tanto ascendeva il numero degli armati in città, oltre i corpi-franchi, che, come si disse, si trovavano sui ronchi in numero di trecentocinquanta.
Altri emissari spediti per diverse parti della Lombardia con incarico di provvedere armi, non erano ancora ritornati, ed un distinto patriotta erasi assunto l'incarico di far pervenire fra pochi giorni, settemila fucili. Ove si avessero avute le armi, i difensori non sarebbero mancati alla città di Brescia, giacchè masse inermi di popolo si recavano spesso al Comitato a chiederle.
Verso le due pomeridiane del giorno 30 l'esercito di Nugent partiva da Sant'Eufemia, diretto verso la città. Innanzi tutto con forze molto superiori assaliva da varii lati i corpi-franchi, che stavano sui ronchi, e dopo ostinata pugna, li costringeva a lasciare quelle posizioni e ritirarsi sopra altri còlli alla distanza di tre miglia, per cui d'allora in poi quelle nostre forze rimasero inattive e di nessun vantaggio alla difesa della città. Questo inconveniente arrivò dall'essere quegli armati dipendenti unicamente da persone appartenenti al Comitato segreto, le quali, invece di adottare l'opinione del Comitato di pubblica difesa, di concentrare in città anche quelle forze, vollero ostinarsi nel tenerlo all'esterno onde non comprometterle, come dicevano, in un assedio.
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Occupate le posizioni dei ronchi dagli Austriaci, seguendo il vandalico sistema introdotto nel loro esercito dalla ferina natura dei capi, si misero a saccheggiare ed incendiare diversi casini di campagna ad uso di villeggiatura. Dopo tali gloriose gesta, piombarono sulla città, facendo impeto a porta Torrelunga, mentre un continuato bombardamento da parte del castello colpiva specialmente quella stessa posizione della città.
Intrepidi i Bresciani difendevano le barricate, e né le bombe del castello, né il cannoneggiamento al di fuori, né la fitta moschetteria bastarono ad atterrire quegli intrepidi petti, dai quali scoppiavano di tratto in tratto le grida di viva l'Italia , e sebbene non avessero un sol cannone da opporre ai nemici, coi soli fucili ne sostennero il prolungato assalto. Soltanto la morte costringeva quei prodi ad abbandonare il posto, il quale veniva tosto rimpiazzato da altri, giacché andavano a gara nello spingersi avanti onde essere a miglior portata di offendere il nemico. Un intrepido cittadino, di cui taccio il nome per non comprometterlo maggiormente, fra le palle nemiche osò salire sui cancelli di ferro della porta, e piantarvi una rossa bandiera. Il conflitto durò fino a sera, e sebbene guaste in ispecialità dalle palle de' cannoni, nessuna barricata fu abbandonata. Il nemico si ritirò di nuovo a Sant'Eufemia, idrofobo per non aver potuto sfogare la sua rabbia sui cittadini, come aveva fatto sui loro averi nei vicini ronchi. Ognun s'immagini quale entusiasmo e quale gioia si diffondesse sulla città; era il secondo vigoroso assalto che avea sostenuto, e credeva ormai che dovesse essere l'ultimo, mentre ragionevolmente riteneva che dopo quegli inutili tentativi del nemico per vendicarsi di Brescia, fosse alla fine costretto di obbedire all'armi-
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stizio Chrzanowski, e ritirarsi senza ulteriore ritardo oltre l'Adige.
Anche il Comitato di difesa ed il Municipio erano in questo pensamento, perché punto non dubitavano della verità di quel malaugurato armistizio, che veniva sempre più confermato anche da lettere private.
Non per questo però si arrestava il Comitato di difesa dal predisporre tutte quelle misure che potessero salvare la città da un nuovo assalto. Fino dal giorno 25 aveva mandato un espresso al generale piemontese La Marmora, che trovavasi a Parma con ventimila uomini, mettendolo al fatto della rivoluzione di Brescia, ed avvertendolo inoltre che duemila prigionieri piemontesi dicevansi a Lodi con poca scorta; che i Bresciani avrebbero pensato a liberarli, ove avessero tenuto lo stradale degli Orzi nel tradurli alle fortezze, mentre a lui sarebbe riuscito facile il farlo, ove avessero tenuta la strada di Cremona. La Marmora rispondeva seccamente al Comitato che non si poteva muovere, e pensasse Brescia a difendersi da sé, senza fare un cenno di simpatia per la città, nè una parola sul modo di liberare i prigionieri piemontesi. Ad onta di ciò, nella notte del 30 essendo stato comunicato al Comitato che lo stesso La Marmora trovavasi a Cremona, mandava un espresso per sollecitarlo a portarsi su Brescia onde far rispettare dai barbari nostri nemici l'armistizio Chrzanowski. Non si poté conoscere l'esito di tale missione, ma ognuno s'immagini cosa potesse rispondere il bombardatore di Genova.
Nella stessa notte del 30 al 31 marzo, proveniente da Verona senz'alcuna scorta, ad ignominia dei paesi che gli lasciarono libero il passo, marciava sotto le mura di Brescia il generale Haynau, e riparava in castello per
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la porta di Soccorso. Nel successivo mattino spediva al Municipio due gendarmi con un suo dispaccio, col quale imponeva la resa della città, con minaccia di distruzione in caso di rifiuto; e per far pompa della sua natura ferina: Voi mi conoscete, o Bresciani, diceva; io non manco alle mie promesse!
Il Municipio chiamava a consiglio il Comitato di pubblica difesa, onde discutere sul partito da prendersi. Oltre la minaccia di Haynau, altro punto di maggior importanza v'era a considerare. Era stato partecipato al Comitato che un corpo di dodicimila Austriaci si trovava a Gorgonzola, e che seimila sembravano destinati per Brescia, e gli altri per Bergamo. Eransi mandati degli emissari per verificare l'esposto, e tenere esattamente informato il Comitato delle mosse di quelle truppe, ma non si aveva ancor avuta alcuna relazione in proposito.
Il Comitato, richiesto del suo parere, esponeva che, in conseguenza dell'armistizio Chrzanowski, gli Austriaci dovevano rispettare le province lombarde nel ritirarsi oltre l'Adige. Che perciò i dodicimila uomini che trovavansi a Gorgonzola non avrebbero molestato Brescia né Bergamo, ma si sarebbero tutt'al più dirette verso quelle città per proteggere la ritirata di quelle guarnigioni. Che, ove osassero violare quei patti, i Piemontesi, e specialmente La Marmora, che dicevasi a Cremona con ventimila uomini, sarebbero giunti in tempo per tagliar loro la ritirata e farli pentire di tale violazione. Osservavasi che quella belva di Haynau, inferocito maggiormente per la sconfitta toccata ai suoi in Piemonte, voleva ad ogni costo vendicarsi dei Bresciani, contro dei quali specialmente nutriva un odio il più bestiale; e siccome egli non trovavasi presente ai
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fatti del Piemonte, avrebbe forse creduto di potersi giustificare, dicendo di non aver avuto ancor notizia dell'armistizio Chrzanowski; che perciò avrebbe oggi usate le più orride sevizie contro Brescia in caso di occupazione, e l'avrebbe domani abbandonata. Conchiudeva il Comitato che la città dovesse resistere risolutamente, promettendo che le zanne d'Haynau sarebbero state infrante dalle palle dei nostri moschetti. Diverse persone che costituivano il Municipio titubavano, tremavano e non sapevano a qual partito appigliarsi; ma la maggioranza conveniva col Comitato di difesa per la resistenza, per cui si spediva in castello una Commissione di distinti cittadini con una lettera del Municipio, colla quale si esponeva ad Haynau il fermento popolare che predominava la città, e che sarebbe stato impossibile di sedare, specialmente dopo le notizie favorevoli pervenute dal campo piemontese, ed a risparmio di sangue gli si chiedeva un armistizio di quarantotto ore per verificare lo stato delle cose. La Commissione si estendeva anche a voce sull'armistizio Chrzanowski, facendogli conoscere come non si potesse ormai più porre in dubbio; al che Haynau rispondeva di saper tutto, ma che se la città non cedeva fra due ore, l'avrebbe ridotta in cenere. Ritornata la Commissione, si arringava il popolo per fargli conoscere l'insolente risposta d'Haynau, ed il popolo accoglieva festante il guanto di sfida, gridando: libertà o morte. Quella tremenda risoluzione del popolo sconcertava i pusillanimi ed i goghi, i quali sceglievano piuttosto di piegare vilmente il collo sotto i piedi d'Haynau ed attenderne sommessi il castigo, piuttostoché cimentarsi all'effetto distruttore delle bombe, e perciò incominciarono a fomentare un partito reazionario, e per masche-
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rare la loro viltà andavano pubblicando l'armistizio del duca di Savoia, riportato dal giornale di Milano colla data 26 marzo, manifestando con ciò il dubbio che le notizie sull'armistizio Chrzanowski fossero false. Pur troppo questa volta la paura era più indovina del coraggio, ma è ben raro il caso che ciò avvenga.
Comunque fosse, essendo la città determinata alla lotta, bisognava che gli animi non fossero divisi ed incerti, e perciò il Comitato di difesa procurava di rassicurare i cittadini col seguente bollettino:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 31 marzo 1849.
Venne riferito a questo Comitato che molti cittadini, venendo in cognizione dell'infame armistizio conchiuso dal duca di Savoia, sotto il nome di Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, con Radetzky, si lasciano predominare dallo sconforto, sorgendo loro qualche sospetto che possa non essere vero l'altro armistizio ben differente, dettato da Chrzanowski.
A tranquillare l'animo di costoro, questo Comitato ricorda loro il precedente bollettino 29 marzo, nel quale con dettaglio viene esposto che infatti dapprima veniva segnato un armistizio dal duca di Savoia, ma dichiarato poi questi traditore, e decaduto dal trono, veniva nominato dittatore Chrzanowski. il quale, rotto quell'iniquo armistizio, intimava guerra a Radetzky, lo debellava e poscia dettava, qual vincitore, i patti che sono già stati annunciati.
Insomma, l'armistizio del duca di Savoia fu conchiuso nel giorno 24 marzo, e Radetzky lo pubblicava alle truppe coll'ordine del giorno 25 marzo, che
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si legge anche nel foglio di Milano, mentre l'armistizio Chrzanowski fu conchiuso dopo la sanguinosima battaglia del 25 detto mese. Né vi tragga in inganno la data 26 marzo che leggesi nel citato foglio di Milano sotto l'armistizio del duca di Savoia, percé questa non è la data di quell'armistizio, ma bensì quella in cui l'armistizio stesso da Novara veniva spedito a Milano.
Popolo Bresciano!
Confida nel Comitato; la vittoria di Chrzanowski e la successiva capitolazione che costringe gli Austriaci a portarsi a Verona, è un fatto incontrastabile.
Firmati CONTRATTI - CASSOLA.
Per vero dire anche il Comitato di difesa aveva notata qualche incongruenza nelle notizie pervenute, ma riteneva, d'altra parte, che qualche errore fosse seguito nell'indicazione delle date, non potendo elevar dubbio sulla sussistenza di fatti annunciati da tante corrispondenze scritte e verbali, e che venivano d'altronde constatati dal ritorno delle truppe austriache e dal rilascio dei prigionieri. Come mai si poteva credere che Radetzky fosse così noncurante dello spirito nazionale del Piemonte, da non temervi una rivoluzione dopo sì nero tradimento per parte del re? Il Comitato di difesa avea maggior stima dei Piemontesi.
Radetzky li conosceva meglio. L'armistizio Chrzanowski fu certamente annunciato al Lombardo-Veneto con un bollettino a stampa. Solo non si conosce bene finora se tale inganno sia stato teso a Milano o a Torino, o unitamente dal gabinetto austrosardo allo scopo di evitare una generale rivoluzione col dare ai popoli la spe-
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ranza di liberarsi senza sacrificii dalle baionette austriache (1).
Nello stesso mattino, si pubblicava pure il seguente proclama:
COMITATO DI PUBBLICA DIFESA.
Brescia, 31 marzo 1849.
Riesce spiacentissimo il vedere quasi tutte le porte delle case chiuse quando la prode Guardia Nazionale di città e di provincia sta respingendo il nemico alle barricate. Come mai ponno esistere esseri dominati da tanto egoismo e privi d'ogni sentimento amorevole verso i suoi simili, da chiuder loro le porte in faccia mentre espongono il loro petto alle palle nemiche per la comune causa dell'indipendenza, ed impedire così ad essi un rifugio, nel caso che esuberante forza d'impeto nemico, superata qualche barricata, portasse la guerra nelle contrade? Guai a quel cittadino che, dopo la pubblicazione del presente non aprisse il portello non solo, ma anche gli usci degli appartamenti onde i nostri prodi possano all'evenienza ripararvisi ed offendere il nemico dalle finestre. Colui sarebbe dichiarato traditore della patria, ed oltre l'esecrazione universale, verrebbe da apposita Commissione condannato al pagamento d'una gravosa multa.
Si ripromette il Comitato che chi racchiude in petto
(1) A probabile che quel bollettino sia stato stampato a Torino, perchè quivi fu stampato l'altro che circolava nell'esercito piemontese nei momenti della lotta, concepito in questi termini: Piemontesi, per chi vi battete? Il re è tradito. A Torino fu proclamata la repubblica.
(Nota dell'autore.)
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cuore bresciano non vorrà contravenire a tale ordine.
Firmati CONTRATTI - CASSOLA.
Frattanto coloro che parlavano di capitolazione non trovavano eco nella bellicosa Brescia, ed anzi si esponevano al pericolo di essere maltrattati dal popolo, che anelava il momento di venire alle mani. Il principio dell'attacco, giusta la minaccia d'Haynau, doveva essere alle due pomeridiane; ma gli armati essendo stati disposti già prima alle porte della città ed intorno agli spalti, non potevano ulteriormente aspettare, e come per sfidare il nemico ad anticipare l'attacco facevano suonare a stormo in tutti i campanili. Haynau non rispose per allora alla sfida, ma scoccate appena le due ore apriva furioso bombardamento sulla città, la quale veniva nello stesso tempo investita dall'esercito al di fuori. Il nemico avea fatto calcolo che una popolazione armata che non è diretta che dal proprio coraggio può facilmente essere tratta in inganno, ed il laccio fu teso. Egli diresse in catena intorno alla città un battaglione di cacciatori, tenendoli a tale distanza, che fossero fuori di tiro pei nostri fucili, non così pei loro stutzen. In tal modo eccitarono i nostri armati alla zuffa, procurando anche di allontanarli da porta Torrelunga, ove intendeva di fare impeto per penetrare in città. La maggior parte dei nostri non conosceva la portata del tiro di fucile, e perciò rispondeva con fitte fucilate, che tutte riescivano frustranee ed inutilmente veniva gittata la munizione. Soltanto taluni che erano muniti di stutzen vendevano a prezzo di vita il loro piombo. I rappresentanti del Comitato di difesa ed altri cittadini si accorsero tosto dell'ingannevole progetto del nemico, e per-
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correndo intorno alla città, andavano predicando che si dovesse risparmiare la munizione, facendo conoscere agli armati l'inganno in cui venivano colti, ed esortavanli ad attendere che il nemico si avvicinasse onde poterlo distruggere; ma come dirigere e far obbedire una massa disorganizzata, che non ascoltava che il Proprio istinto di sfogare la rabbia contro l'Austriaco con delle fucilate?
Molti pregavano perché si volesse lasciarli uscire di città per combattere in campo aperto quei bersaglieri che non volevano avvicinarsi; ma il Comitato di difesa non volle mai accondiscendere al sacrificio, cui volevano esporsi i più coraggiosi, fatto calcolo del vantaggio che hanno in campo aperto truppe disciplinate ed ammaestrate, in confronto di una massa di popolo che non può contraporre che il proprio coraggio.
Frattanto che all'ingiro delle mura si scambiavano in tal modo le fucilate, con poche vittime da entrambe le parti, il corpo principale del nemico erasi appostato a porta Torrelunga, la quale offre un ampio viale per penetrare in città, difeso soltanto da un cancello di ferro. Forti barricate eransi costrutte in quella località, ma come poterle difendere con dei fucili contro l'azione dei cannoni. Il nemico dapprima non agiva che con questi, tenendosi a tale distanza per cui coi nostri fucili non le si poteva nuocere. Un cannone specialmente di grosso calibro struggeva come folgore tutto quanto incontrava. Nello stesso tempo tutte le bombe del castello erano dirette in quella località. I nostri poveri armati pertanto si trovavano fra una grandine di bombe e palle di cannone senza poter reagire colle loro armi, era uno spettacolo veramente desolante e solenne nello stesso tempo; il vedere quei prodi difensori che,
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investiti da ogni parte da quei proiettili distruttori, rispondevano colle grida: viva Italia! Di tratto in tratto taluni venivano uccisi, ma non per questo i loro vicini abbandonavano il posto. Un tale spettacolo di atrocità da una parte, e di sovrumano coraggio dall'altra, durò fin verso le ore cinque; ma alla fine, essendo infrante quelle barricate, dovettero quei prodi difensori abbandonarle e ritirarsi alle altre, più interne della città, lasciando in potere dei nemici porta Torrelunga e le case circonvicine.
La stessa scena avea luogo alle barricate che difendevano la città dalla parte del castello. Queste anzi erano ancor più difficili a conservarsi.
Il castello di Brescia è posto sopra un colle rinchiuso nel recinto della città. Molte sono le strade di comunicazione col medesimo, mentre la base di quel colle è prolungata per modo, che comprende quasi un intero lato della città stessa. A capo di tutte queste strade erasi disposta una barricata, ed altre se ne incontravano di mano in mano che si discendeva. I nemici perciò avevano il vantaggio di dominare dall'alto quelle barricate, che investirono con bombe, razzi e palle infuocate. I nostri sostennero per molte ore coraggiosamente quella distruzione, ma alla fine sulla sera furono costretti di abbandonare le prime barricate che restavano maggiormente esposte e ritirarsi quasi ai piedi della saliente contrada così detta di Sant'Urbano. Il fiero combattimento pertanto di tutto quel giorno aveva apportato al nemico il vantaggio di penetrare in città dalla parte di Torrelunga, avanzandosi fino a San Barnaba, cioè per un migliaio circa di passi, e dalla parte del castello era disceso fin quasi al piano, cioè per circa cinquecento passi; ma ben molte vittime avea sacrificato per conquistare sì piccolo spazio di terreno.
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Desso però bastava per insozzarvi le zanne di quelle belve feroci dirette da un generale ancor più selvaggio, da un Haynau. Un brivido d'orrore m'invade le fibre al rammentare quelle orribili scene. Quegli efferati invadevano tutte le case comprese nei raggi da loro occupati, scannavano le persone che vi trovavano, senza riguardo a sesso od età, prolungando soltanto per le donne il supplizio per appagare prima i loro istinti bestiali. Dopo fatto macello delle persone, saccheggiavano gli appartamenti, e si impossessavano di quanto vi era di più prezioso e di facile asportazione. Per ultimo, col mezzo di una specie di razzi inventati da qualche demone, che balzavano qua e là per le stanze fiamme inestinguibili, incendiavano le case. Chi potrebbe dipingere l'orrore che quei barbari avevano impresso a quella notte tremenda! Gli incendii divampavano alle falde dei castello e a porta Torrelunga in tale estensione, che sembravano due città di fuoco! Le grida delle vittime di tratto in tratto si facevano udire fra il continuato tuonare delle moschetterie, a cui tenevano dietro le acclamazioni di viva Haynau, saccheggio ed incendio a Brescia; che i proseliti del paterno regime austriaco facevano emettere da quelle belve feroci. Viva l'Italia, rispondevano i nostri, e tenevano le barricate. Molti caddero da una parte e dall'altra in quell'accanita pugna notturna, ma in numero assai maggiore per parte dei nemici, fra' quali diversi ufficiali.
Alla mezzanotte il corpo Municipale si riuniva in consiglio, fatto più numeroso coll'aggiunta di molti altri raguardevoli cittadini, fra' quali alcuni della guardia nazionale. Dietro grazioso invito, vi si portava ad assistervi un membro del Comitato di pubblica di-
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fesa. Quell'assemblea era stata convocata per trattare se convenisse meglio capitolare col nemico o continuare nella resistenza, e in questo caso conoscere quali mezzi stavano in potere del Comitato di difesa. Divisi erano gli animi delle persone componenti quella riunione; ma sembrava che i più propendessero per la resa, per cui il rappresentante il Comitato di pubblica difesa dichiarava che il Comitato stesso non avrebbe giammai vilipeso l'onor nazionale, reso sì bello dal sangue di tanti martiri, col cedere ignominiosamente, alla vigilia del giorno in cui i nemici avrebbero dovuto abbandonare la città in conseguenza dell'armistizio Chrzanowski: esponeva che il vantaggio ottenuto dal nemico colla occupazione d'una piccola parte della città, non era tale da avvilire i prodi, che tuttora resistevano alle barricate, e che gli avevano ceduto quell'area di terreno a prezzo di molto sangue; faceva riflettere che, consegnando la città in mano ad un Haynau, inferocito maggiormente per l'eroica resistenza che aveva incontrata, le si sarebbero addossati danni ben maggiori di quelli che ne sarebbero derivati da una risoluta resistenza. Quanto all'esporre le risorse che aveva il Commitato di difesa per prolungare la lotta, faceva riflettere che sarebbe stata cosa assai imprudente il manifestare in un'assemblea così numerosa dei secreti che, ove venissero conosciuti dal nemico, ne avrebbe tratto profitto con gravissimo nostro danno, e che perciò si credeva dispensato da tale obbligo. Lasciava quell'adunanza, protestando che il Comitato di difesa era rappresentante del popolo, e che solo perciò si sarebbe indotto alla resa, quando il popolo ne fosse stato persuaso.
Il punto principale a cui molti cittadini si appogia-
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vano nel proporre la resa della città, era la mancanza di munizione, e questa sussisteva infatti. Il Comitato di difesa, come si è veduto, aveva affidato l'incarico di provvedere la munizione ad una Commissione composta di quattro cittadini con istruzione di raccoglierne quanto più si poteva, accordandole all'uopo mezzi illimitati. Quella commissione si pose con calore all'opera, e ne provvide in grande quantità, che ritenne sufficiente pei bisogni della città di Brescia.
Centosettantamila cartuccie, comprese quelle pervenute dal Piemonte, erano state apprestate e distribuite agli armati della città, senza contare i corpi-franchi, che stavano sui ronchi, pei quali vi avea provveduto il Comitato segreto; per cui sembrava ragionevole il giudizio della Commissione, ed ove mai avesse potuto procurarne di più non sarebbe senza scusa l'errore in persone per cui simili mansioni erano affatto nuove. Quando il Comitato però venne a conoscere nel giorno 30 che si difettava di munizione, fece tantosto circolare l'ordine agli armati perchè non la gettassero inutilmente, come facevano, specialmente in quel giorno, con continue scariche contro i bersaglieri, che si trovavano fuori di tiro, e nello stesso tempo, oltre al requisire per conto della patria tutta la polvere che si trovava presso i privati, aveva anche predisposte due fabbriche di polvere che sarebbero andate in esecuzione col 1.° aprile. Oltraciò era ragionevole ritenere, e lo si sapeva in effetto, che la maggior parte degli armati era ancora ben provveduta di cartucce, e taluni anche vergognosamente ne facevano mercato, per cui in caso di necessità le avrebbero messe a profitto della patria. L'ostacolo che sembrava più difficile a rimuoversi, era la mancanza di capsules , che fossero adatti a fucili per-
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venuti dal Piemonte, e di forma tutta particolare. Anche a ciò si avrebbe però in breve provveduto, giacchè per fortunata combinazione trovavasi ancora in Brescia una magnifica macchina da capsules fatta costrurre dal cessato Governo Provvisorio, ed un abile artista si proponeva di ridurla all'opera in meno d'una giornata di lavoro. Frattanto si stavano riducendo a cartucce dieci pesi di polvere che ancor si avevano, ed altre diecimila cartucce eransi mandate a prendere ad Iseo, e trovavansi in vicinanza alla città, attendendosi solo il momento di poterle introdurre senza esporle a pericolo. Dipiù, di momento in momento attendevasi la colonna Camozzi, che, oltre all'accrescere il numero dei nostri armati, doveva portare nuove armi e munizioni. Infatti fino dal giorno 30 il Comitato di difesa aveva ricevuta una lettera del generale Gabriele Camozzi, con cui annunciava che in quello stesso mattino partiva colla sua colonna da Bergamo, diretto per Brescia, indicandone lo stradale. Per avere più pronto un tale sussidio, il Comitato eleggeva tosto una Commissione perché col mezzo di Omnibus ed altri rotabili andasse immediatamente ad incontrare quella colonna e condurla rapidamente in Brescia. Quella Commissione però non potè eseguire il mandato, per essere stata subito dopo circondata la città dai bersaglieri nemici. Ragionevolmente però si riteneva che dovesse quella colonna trovarsi ormai nella notte in questione sotto le mura di Brescia, non essendovi che la distanza di trenta miglia da Bergamo a Brescia, ed essendo già trascorsi due interi giorni dal momento della partenza. Per questi riflessi, e specialmente per chi fermamente credeva che i Piemontesi avrebbero fra poco costretto il barbaro Haynau a rispettare l'armistizio Chrzanowski, il Comi-
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tato di difesa era risoluto di protrarre la resistenza per salvare la nazione dal disonore, la città dal saccheggio. Misera Brescia! Qual compenso avesti dal Piemonte per le cure affettuose che prodigasti l'anno scorso a' suoi figli, che idolatravi più de' tuoi fratelli di Lombardia? Ah, tu porgesti le mammelle alle zanne del lupo! Tu avevi scacciato il nemico, ed egli te lo ricondusse in casa; ora ti sollevavi di nuovo dietro sua istigazione, e ti abbandonava sola tra le fiere del Nord, alle quali desso porgeva la mano di amico. Io non parlo colla dinastia sabauda né col ministero; con nemici di tal fatta è inutile il garrire, solo si può rispondere colla spada. Parlo alla nazione, che potè tollerare l'insulto e contemplare inerte il sacrificio de' suoi fratelli bresciani. Oh Piemontesi! Tutti i popoli civilizzati vi guardano con sorpresa e stanno per gettar sul vostro capo incancellabile macchia d'infamia. Prevenite il giudizio tremendo, mentre ne avete ancora il tempo, imbrandite la spada della libertà, e mostrate al mondo che siete veri figli d'Italia.
L'aurora della domenica 1.° aprile spuntava scolorata per la città di Brescia.
Non si udivano più gli inni patriottici, i gridi di gioia, le manifestazioni d'entusiasmo; si leggeva lo sconforto nel volto dei cittadini. Non insuperbite però, o tiranni! Le bombe e le baionette dei vostri satelliti non avevano infiacchito il potente braccio del popolo bresciano; lo spettacolo della morte di tanti martiri non faceva che accrescere energia ai loro cuori audaci. Non fu il timore che apportò lo sconforto alla città di Brescia; fu il sentimento dell'umanità, il quale, sconosciuto alle vostre orde, trova facilmente albergo nei petti bresciani.
Erano le ore nove circa del mattino. Il nemico dalla
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parte di Torrelunga, dalla precedente sera in poi, non aveva guadagnato un palmo di terreno. Dalla parte del castello però, in cui, come si disse, aveva il vantagio dell'altura e di numerosa artiglieria, era disceso fino a Portabruciata, cioè al piano della città, ed aveva occupato il Broletto. Gl'incendii progredivano, e i cittadini stavano osservando il divampare delle fiamme col volto atteggiato a mestizia, commiserando gl'infelici che dovevamo trovarci fra le zanne di quelle tigri ed il fuoco divoratore. Molte vittime già si conoscevano, ma non se ne sapeva il numero, che, come di solito in simili sventure, si andava ingrandendo.
I rappresentanti il Comitato di difesa venivano continuamente eccitati dal Municipio ad unirsi al suo parere di capitolare col nemico, ma la maggior parte del popolo armato insisteva per la resistenza e continuava a difendere le barricate. Volgendo uno sguardo alla città, aveva però il Comitato conosciuto che la maggioranza assoluta dei cittadini inclinava alla resa, e d'altra parte, calcolando l'effetto distruttore degl'incendii, pensava che non dovesse essere maggiore il danno dell'occupazione nemica, mediante una capitolazione.
Riscontrava perciò ad una pressante lettera del Municipio, che dal momento che la maggioranza della popolazione era di parere di trattare col nemico la resa della città, nulla ostava al Comitato di pubblica difesa che il Municipio avesse da intavolare una capitolazione, ed a tale scopo rimetteva in lui quei poteri illimitati che gli erano stati accordati, dichiarando con ciò sciolto il Comitato stesso.
Dovendosi infatti venire a trattative era più conveniente che queste fossero aperte dal Municipio, perché
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il nemico, non riconoscendo il Comitato di difesa, avrebbe sdegnato di venire con lui a patti, e ciò sarebbe stato anche contrario all'indole dei rappresentanti il medesimo. Il Municipio comunicava allora ad Haynau di essere disposto a capitolare, e ne chiedeva i patti. Quegli riscontrava che la città dovesse ricevere le sue truppe senza ostilità di sorta; che ad ogni colpo d'arma da fuoco che fosse uscito dalle case, gli autori sarebbero stati uccisi, e le case incendiate; che fossero consegnati i prigionieri di guerra, affidandogli sei ostaggi per garanzia dei medesimi; conchiudeva che ai pacifici cittadini nulla sarebbe accaduto di ostile. Il Municipio rescriveva che accettava i patti, e che quanto ai prigionieri di guerra li rimetteva già incolumi a sua disposizione, senza fare perciò alcun cenno degli ostaggi, e nello stesso tempo faceva conoscere con un proclama ai cittadini gli accennati patti della capitolazione, esortandoli alla quiete.
Vedendo allora tutto perduto, voleva il popolo almeno approfittare di quei momenti di potere che ancora gli rimanevano per purgare la società dalle inique spie. Irruppe perciò nelle carceri ove si trovavano, le fece uscire, e poscia le fucilò in mezzo alla strada. Quei nomi di esecrata memoria sono certo Imiotti, cursore di polizia, un Sambrini, un Giovanni Marinoni, detto Brutto, ed altro agente di polizia col sopranome di Menacò. Altre se ne ricercarono, fra le quali il famigerato Sicardi; ma ignorando il popolo in quali carceri si trovassero non potè far loro provare gli effetti di sua giusta vendetta.
Per verità, tale metodo di tremenda giustizia sommaria è assai pericoloso, perché, guidato dal suo furibondo entusiasmo, il popolo può facilmente essere trat-
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to in inganno e sacrificare persone che amano del più intenso amore la patria. Infatti, ingannato il popolo dalla malvagia dottrina dei realisti, l'anno scorso considerava come spie tutti i repubblicani, e molti di essi si trovarono in grave pericolo di essere sacrificati; eppure i repubblicani erano i più leali amici del popolo, i più indomiti campioni della causa d'Italia. Tanto può l'inganno sulla fragile mente umana. Questa volta però il popolo aveva colpito nel segno, e quelli che caddero sotto i colpi dellira sua tremenda erano veramente sicari del dispotismo.
Frattanto i capi delle colonne e molti altri cittadini armati eransi riuniti al locale del Comitato di difesa per trattare sul partito da prendersi. Partendo sempre dalla base che gli Austriaci dovessero abbandonare la Lombardia in conseguenza dell'armistizio Chrzanowski, fu conchiuso che si riunissero insieme tutti gli armati che si potevano, e con impeto si uscisse da una porta della città, ritirandosi sui monti, per salvare così una grossa colonna d'armati alla causa nazionale. Occorrevano i mezzi per mantenere queste truppe, e si rivolsero perciò ai rappresentanti il Comitato di difesa, che, deposta la penna ed afferrato lo schioppo, eransi uniti a quegli armati; ma dessi rispondevano che, essendosi già dimessi dalla loro carica, non potevano più disporre del denaro esistente nella cassa del Comitato. Gli armati allora, per lo scopo accennato e per non lasciare quel denaro in preda al nemico, ruppero l'armadio e la cassa, e si impossessarono della somma contenuta, credo circa trentamila lire. Parte di quel denaro fu posto sotto custodia del prete Mor, che stava a capo d'una colonna, altra porzione veniva consegnata a certo Cattaneo; il resto ignoro a chi venisse affidato, non essendomi trovato presente a tale scompartimento.
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La porta per cui riesciva più facile l'uscita era porta San Giovanni, sebbene dessa pure fosse guardata da molti nemici che occupavano le case esterne. Eravamo perciò risoluti di uscire impetuosamente uniti in istretta colonna, ed aprirsi così la strada alla fuga col sacrificio di quegli infelici che sventuratamente sarebbero stati colpiti. Ormai tutto disponevasi per la partenza, quando il prete Mor si fece a proporre all'adunanza il progetto di mandare ad Haynau un frate con una supplica firmata dagli ufficiali nostri prigionieri di guerra per intercedere un armistizio, o almeno, per quanto mi parve intendere, di poter uscire coll'armi. Quella proposta era assolutamente senza fondamento; ma gli uomini sono avvezzi a veder probabile anche l'impossibile quando si tratta di cose a loro favorevoli, e perciò veniva applaudita da molti. Frattanto si perdeva tempo, ed il corpo d'osservazione fuori di città veniva aumentato, mentre la nostra colonna invece andava sciogliendosi, perché, stanchi di attendere, gli armati, si disperdevano per la città, per cui si dovette alla fine persuadersi che non era più possibile l'uscire da Brescia senza esporsi a certa morte, mentre dicevansi anche appostati dei cannoni a mitraglia contro le porte. Si rinunciò pertanto a tale progetto, dirigendosi ciascuno ove credeva di trovare maggior sicurezza, mentre già in forza della capitolazione i nemici andavano occupando la città. Con ciò ebbe a cessare lo scopo a cui era destinato il denaro che era stato levato dalla cassa del Comitato, e coloro che ne erano in potere ne avranno certamente reso buon conto, pensando che era di proprietà della patria, e che, manomettendolo per fini diversi dalla causa nazionale, avrebbero commessa la più enorme delle iniquità. Infatti per
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quanto seppi in seguito dal citato Cattaneo, tanto il denaro che aveva egli in deposito, come quello di altri fu consegnato nel successivo giorno al Municipio. Invasa la città dalle orde austriache, non fu da loro punto rispettata la capitolazione, mentre, anziché mostrarsi ostili soltanto cogli armati, maltrattavano o uccidevano i cittadini per sola antipatia alla loro barba, alla forma del cappello, o agli abiti di velluto. Veniva tosto pubblicato un proclama di portare fra quattro ore tutte le armi al Municipio, sotto pena, in caso di inobbedienza, della fucilazione; e molti di quelli che in conseguenza di quell'ordine si dirigevano colle armi al detto ufficio, vennero fucilati per le vie, maltrattati, o condotti in quartiere, ove fecero loro provare ogni sorta di tormenti. Centocinquanta furono nello stesso giorno per simili pretesti condotti in castello. Cinquanta di essi, compreso qualche prete, furono fucilati, per dare i loro soliti esempi di salutare terrore; altri cinquanta furono ingaggiati nelle loro truppe e tradotti verso l'Ungheria; gli altri, perché troppo giovani o difettosi, furono lasciati in libertà, dopo avere assistito, ognun s'immagini con quale spavento, alla carnificina dei loro compagni.
Simili mostri dovranno adunque essere protetti da colui che porta il titolo di santità e da nazioni che hanno il vanto di essere liberali? La ragione s'offusca ad un tale pensiero.
Il numero delle vittime inermi superò quello dei prodi che caddero alle barricate coll'armi alla mano, ed in complesso non arrivò a trecento individui. Molti feriti però si trovavano all'ospedale, e l'umanissimo Haynau, per meglio sorvegliare alla loro cura, li fece trasportare all'ospedale militare. Gran parte però di
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quelli che potevano reggersi in piedi, si fecero un riguardo di approfittare di tanta bontà di quel generale, e con pericolo della vita si evasero.
Ben maggiore fu il numero dei nemici che dal valore bresciano furono precipitati all'erebo a scontare l'enormità dei loro delitti. Giusta una nota che lo stesso comando militare presentò alla Delegazione di Brescia il 17 aprile, sarebbero stati uccisi un generale (Nugent), due colonnelli, un tenente colonnello, tre capitani, ventinove ufficiali e millequattrocento e settantasette soldati.
Trovavasi pure in pericolo l'aiutante di Nugent, e si contavano ancora almeno seicento feriti.
La potenza delle barricate produsse tale divario di vittime fra le due parti belligeranti.
Nello stesso giorno 1.° aprile, dopo la capitolazione di Brescia, arrivava in vicinanza alla città il generale Gabriele Camozzi colla sua colonna di cinquecento giovani all'incirca. Ignorando egli la resa, perché nessuno poteva uscire a portar tale notizia, e perché erasi continuato il fuoco tutta la mattina, si univa ai corpifranchi che, come accennammo, eransi ritirati sulle alture a qualche distanza da Brescia, e concertava con essi un movimento verso la città appena fosse ripresa la lotta nel successivo mattino. Durante la notte disponeva un posto avanzato ad Ospedaletto del Mella, cascinaggio distante due miglia della città, ed il corpo principale sulle vicine alture di Torricella, Fanìtasina ed altre. Sia però che le sentinelle che erano state avanzate fino al ponte del Mella venissero sorprese all'improvviso e non avessero avuto campo di dare l'allarme, sia che per la stanchezza del viaggio quegli armati si trovassero in profondo letargo, e non avessero avuto campo di mettersi in parata, il fatto si è che quel corpo di Ospeda-
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letto venne sorpreso fra le tenebre nel locale ove era alloggiato, ed alcuni vennero massacrati nei letti, altri sul fenile ove riposavano, senza aver tempo di impugnare lo schioppo. I più solerti però si posero tosto sulla difesa e sostennero un vivo fuoco contro il nemico, e solo dovettero cedere e ritirarsi per il soverchiante suo numero. Le vittime che ivi furono sacrificate dalla barbarie ascendono al numero di ventuno, ma vuolsi che in numero maggiore vi cadessero gli Austriaci, i cadaveri dei quali furono altrove trasportati con carriaggi onde non far palesi i loro sacrifici. Impadronitisi di quel locale colonico fecero sacco di tutto quanto vi trovarono, asportando persino le biade ed il fieno, come se il proprietario del medesimo, il quale trovavasi anche assente, avesse colpa di quell'alloggio militare.
Nella stessa notte tentarono di sorprendere anche i corpi-franchi che stavano sui colli, ma furono vigorosamente respinti. Nel successivo mattino, venuto in cognizione il generale Camozzi della capitolazione di Brescia, e saputo anche che altre forze imponenti erano già vicine alla città, provenienti dalla strada di Milano, si ritirava colla sua colonna verso Iseo, e dopo averla condotta in sicuro, la scioglieva a malincuore, conoscendo che ormai non avrebbe potuto con quei pochi armati occuparsi in imprese che rialzassero la bandiera italiana nella Lombardia dall'oppressione a cui soggiaceva per il nefando uso che se n'era fatto in Piemonte.
Sebbene, per essere arrivato troppo tardi, il generale Camozzi non abbia apportato alcun vantaggio all'assalita città, i Bresciani gli sono cordialmente grati degli sforzi da lui fatti per recar loro sussidio mentre pugnavano accanitamente contro i feroci satelliti del dispotismo; e se il suo nome non suonasse già caro all'orecchio
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di ogni vero Italiano per le precedenti sue imprese, basterebbe questo fatto per scolpirlo nei loro cuori.
In compagnia del generale Camozzi trovavasi un altro personaggio illustre per fama italiana. Voglio dire il padre Massimino, uomo di vasta mente, di condotta rigorosamente evangelica, di cuore divampante d'amor patrio. Se fra i pastori spirituali d'Italia molti ve ne fossero stati simili al padre Massimino, l'umanità non si dibatterebbe ora fra gli artigli della tirannide, ma alzerebbe le mani al cielo per ringraziare il Dio dell'amore e della fratellanza dei popoli.
Poco mancò che l'Italia non perdesse sotto le mura di Brescia questi due suoi prodi campioni, giacchè essendosi imprudentemente avanzati in compagnia soltanto di un aiutante per osservare le mosse dei nemici erano stati colti all'improvviso da un picchetto di cavalleria austriaca, che passò sul ponte sotto il quale essi ebbero appena il tempo di nascondersi. Fu al certo l'angelo della libertà che li salvò da quel pericolo.
Frattanto in Brescia erano penetrati altri diecimila imperiali all'incirca, gridando con efferata gioia: viva l'imperatore, viva Radetzky, viva Haynau; ma i cittadini non potendo rispondere a quegli insulti con colpi di moschetto, dimostrarono loro almeno che avevano aperte le porte alla loro forza brutale, ma che giammai il bombardator fanciullo li avrebbe ridotti alla servilità di inchinarsi al suo nefando altare. Tutte le porte delle case, tutte le finestre, tutte le botteghe erano chiuse, le vie deserte.
Brescia presentava un aspetto tetro e maestoso come quello d'una tomba. Se fra i pastori spirituali d'Italia molti ve ne fossero stati simili al padre Massimino, l'umanità non si dibatterebbe ora fra gli artigli della tirannide, ma alzerebbe le mani al cielo per ringraziare il Dio dell'amore e della fratellanza dei popoli.
Dessa avrebbe col suo contegno inspirato rispetto a chiunque fosse suscettibile di umani sensi, ma la sfrenata soldatesca che la percorreva, edu-
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cata al delitto dal malvagio sistema politico de' suoi capi per far cessare l' anarchia e ricondurvi l'ordine , commetteva ogni sorta di soprafazioni.
Per due giorni continuò il saccheggio qua e là nelle case, specialmente in quelle lontane dal centro; le botteghe de' fornai e pizzicagnoli, che per ordine d'Haynau dovevansi tenere aperte, erano invase di tratto in tratto da qualche compagnia di quegli assassini, i quali si impadronivano di tutto quanto lor piaceva. Non vi era militare che pagasse un soldo per gli oggetti che intendeva di acquistare.
Gli insulti poi a quei pochi cittadini che erano costretti dal bisogno di uscire di casa erano innumerevoli e veramente bestiali, ed era ben difficile che potessero ritornare a casa colla borsa, perchè la rapina era all'ordine del giorno.
Si imprecava persino contro coloro che accorrevano ad estinguere gli incendii, ed in alcuni luoghi fu loro impedito, e ciò pure per ordine certamente di Haynau, mentre vi stavano appostate delle sentinelle che minacciavano di fucilazione, chiunque si fosse avvicinato all'incendio.
Tali erano le prove di affetto che quel generale, interprete dei voti del clementissimo suo sovrano, dava alla maggioranza dei cittadini pacifici per compensarli dai danni loro arrecati da una piccola fazione di malvagi sovvertitori dell'ordine sociale. Né i cittadini stessi potevano dispensarsi dall'approfittare della salvaguardia della sua egida, perchè le porte stavano chiuse, e nessuno poteva uscire di città. Dopo due giorni però si degnava di accordare ai cittadini di abbandonare le loro case, e metteva una sentinella alle botteghe di vendita di generi di prima necessità per impedire ulteriori furti
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della soldatesca; ma, come avesse troppo elargito nel dispensare le sue grazie, pubblicava per contraposto un proclama col quale, oltre il pagamento immediato di diverse centinaia di mille lire per pretesi danni a famiglie tedesche, di altre per indennizzo alle famiglie de' soldati morti sotto le mura di Brescia, altre per premio del loro coraggio alle milizie progressivamente a norma del loro grado, imponeva la multa di sei milioni, da pagarsi in dodici rate entro un anno. La maggior parte dei comuni non avevano dato il benché menomo sentore d'insurrezione; ma, secondo la giustizia austriaca, l'uno paga per l'altro; e, in verità, per quei comuni indolenti non poteva essere più equa la giustizia distributiva d'Haynau.
Non appena furono aperte le porte della città, Brescia diventò un deserto, perché in folla i cittadini se ne allontanarono, abbandonando ogni interesse, ben contenti di aver potuto salvare la vita fra tanti assassini. I cadaveri dei prodi che erano caduti alle barricate col nome d'Italia sul labbro, giacevano tuttora insepolti, essendo stata loro negata la tumulazione onde servissero di salutare terrore. Ma v'ingannate o barbari! Voi non avete ancora appreso a leggere nel cuore bresciano. Desso è di una tempra ben diversa, da quella che vi figurate.
La vista di quei martiri della libertà non fece che rassodarlo maggiormente nel santo principio nazionale, e suscitò mirabilmente nei loro petti il desiderio dell'emulazione; e non è lontano il giorno in cui il brando dei superstiti, temprato al sangue di quegli eroi, piomberà più terribile sulle vostre teste esecrate.
CASSOLA CARLO
MEMBRO DEL COMITATO.