ABBA
Terano attorno lievi le vergini sorelle, navicelle che sfiorano volando questo mar crudele: ne udivi frusciare le vele; schioccar le vele bianche, le sartie ronzar ne udivi lucide, ed esili lor voci. – O tardamente accorto, sei giunto – dicevano: – è il porto! – Udivi queti bisbigli e queruli lagni interrotti, come di passeri désti d’un subito nel colmo dell’umida notte su l’olmo. – Chiedi. Ove sono? Ma sei nell’isola – dalle ondulanti cimbe le vergini ti sussurravano soavi: – che in mezzo del mare sognavi; dove la veste vieta si spogliano e il fuggitivo sembiante, e lavano nell’onda azzurra che ti culla già, l’anima loro fanciulla, ch’emerge nuda semplice libera, monda di mali, tersa di lacrime, sì che nell’isola, per dono del cielo, risóno chi sono: |
fanciulli; eterni fanciulli, ch’amano quello che andando gli uomini lasciano cadere, e il mezzo più che il tutto, e il fiore più tanto che il frutto: vanno cantando, cantano, ed amano la dolce vita, ch’ilari donano al lor amor così novella, sì pronti, per ciò che sì bella. Quivi poi l’arme trovano, d’ellera fiorite, e l’arpe ch’orna il Sol aureo, tessuto lì tra corda e corda dal ragno che l’inno ricorda –. Sciacquava il mare cerulo, assiduo, sommesso, come cuore; e sul margine, velato da un oblìo canoro, splendeano gli asfodeli d’oro. – O gran fanciullo – ti ripetevano con dolci intorno voci le vergini, – è il porto! il porto! il porto! vedi nei prati gli eroi con gli aedi: fanciulli eterni! vedi ch’è l’isola degl’immortali! Va dove dicono ch’erra la grande ombra d’Achille, e, rossi, in un nuvolo, i Mille! – |