Suo nonno materno era Cesare Beccaria e la madre Giulia respirò lo spirito di libertà dell'ambiente illuminista milanese; il ragazzo patì la separazione tra i genitori e crebbe in collegio; raggiunse la madre a Parigi nel 1805, quando morì Carlo Imbonati, l'amante con cui si era trasferita nella capitale francese. Da un'educazione laica e classicista passò gradualmente al recupero di una evangelica spiritualità cristiana e alla scoperta sentita delle nuove istanze culturali del Romanticismo. A Milano ripudiò la sua produzione giovanile e compose le opere in cui cercava di realizzare questa poetica: prima gli Inni sacri (1812-15), poi due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1819) e Adelchi (1822). Il 1821 fu un anno che gli ispirò due odi significative per il nuovo modo di pensare e di scrivere: Marzo 1821, la sua più esplicita adesione al clima patriottico, e Il 5 maggio, sulla morte di Napoleone e sulla grandezza di Dio. Ma l'opera in cui prese corpo l'idea della funzione del nuovo letterato fu I promessi sposi, romanzo in cui poteva riconoscersi l'animo del nuovo lettore, in una lingua più libera e di maggiore molteplicità espressiva rispetto a quella della poesia (che era sempre quella petrarchesca, difficilmente plasmabile per un mondo che stava cambiando sensibilmente). La prima edizione del 1827 ebbe una scrupolosa minuta revisione linguistica per l'edizione del 1940, che fu il punto di arrivo delle aspirazioni letterarie manzoniane.
Da questa casa nemmeno 300 metri dovette percorrere la famiglia Manzoni per portare il neonato al battesimo nella chiesa di S.Babila (nel thumbnail la targa che ricorda l'evento). |