|
|
I militari internati furono quei soldati e ufficiali italiani ai quali, all'indomani dell'Armistizio (8 settembre 1943), l'ex alleato tedesco impose la consegna delle armi (pena la morte in caso di rifiuto) e che rinchiuse in campi di concentramento in condizioni di vita terribili, senza neppure i diritti di prigionieri di guerra fissati dalla Convenzione di Ginevra del 1927. Da questi campi uscivano solo quelli che avessero espresso adesione all'esercito germanico o a quello della neonata Repubblica Sociale Italiana, sostenuta dai tedeschi e ad essi ancora alleata. Circa 200.000 uomini accettarono queste condizioni, 600.000 circa le rifiutarono rimanendo nei lager; di questi alla fine della guerra solo 495.000 erano superstiti. |
|
|
|
|
|
|
|
|
(Testo)
Dopo l'8 settembre 1943, in Italia, occupazione tedesca e fascismo di Salò portarono deportazioni, rastrellamenti, rappresaglie a colpire chi già era vittima di lunga persecuzione, chi lottava, chi rischiava tentando di salvare vite altrimenti avviate alla fine.
Dura sorte subirono i civili deportati costretti in massa al lavoro forzato in Germania e seicentocinquantamila soldati e ufficiali catturati in patria, o sui fronti, e imprigionati in campi tedeschi dopo lo sbando delle nostre forze armate.
Furono gli Internati Militari Italiani a resistere senz'armi e per onore, a dire no, a rifiutare l'ultima stagione del fascismo e l'ubbidienza a chi li vessava. Di fame, impiccagioni e fucilazioni morirono in cinquantamila.
A loro dobbiamo memoria
Modena, 25 aprile 2006
foto Santecchia
|
|
|
|
|
|
|
|
|