Uomo politico, scrittore in latino e in volgare, diede a questa lingua nascente una enorme poliedricità espressiva. La sua
Divina Commedia è indubitabilmente uno dei grandi capolavori della letteratura mondiale, ma per gli italiani è anche la fucina della loro lingua, da cui sono uscite le più potenti raffigurazioni della realtà e dell'immaginazione.
La prima epigrafe è parte di una articolata similitudine che paragona i calderoni di pece bollente nell'Arsenale veneziano alla pece che bolle nella V bolgia infernale, dove sono puniti coloro che si macchiarono del peccato di
baratteria (oggi concussione); come in altri casi, Dante non si accontenta di utilizzare la somiglianza fra i due ambienti per aiutare il lettore a capire la scena ma, spinto dal suo forte senso realistico, dà maggior corpo al pezzo di vita terrena che gli serve per illustrare l'Inferno; ne esce qui una descrizione sintetica ma efficacissima dell'intensa attività che si svolgeva nel centro dell'economia veneziana (e solo dopo -vv. 16 ss.- si completa la similitudine:
tal, non per foco ma per divin’arte, / bollia là giuso una pegola spessa, / che ’nviscava la ripa d’ogne parte.)
La seconda epigrafe mostra come Dante fra '800 e '900 sia stato trasformato in un
antesignano dell'irredentismo: le ultime due righe sono citazione di Inferno, IX 113-4, dove il poeta voleva semplicemente paragonare la moltitudine dei sepolcri nel girone degli eretici con quelli che sorgevano vicino a Pola; l'indicazione del golfo del Quarnaro che limita l'Italia non deve essere intesa come volontà di rivendicare l'Istria alla nazione italiana, concetto che neppure esisteva allora.