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Brigante nel Regno delle Due Sicilie, venne usato dai Borboni come guerrigliero contro l'esercito piemontese, ma poi dallo stesso sovrano fatto uccidere da mercenari transalpini. |
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(Testo)
L'attacco a Rivisondoli. 11 Giugno 1862
I fatti d'arme che interessano la Majella in quegli anni incrociarono spesso diverse personalità legate anche alla storia nazionale. È il caso di Luigi Alonzi detto Chiavone. Nato a Sora nel 1825, era nipote di Valentino Alonzi, distintosi come brigante sanfedista durante l'occupazione francese nel 1799. Fedele alle armi ed al re come suo nonno, Luigi si arruolò nell'esercito borbonico e vi prestò servizio congedandosi come secondo sergente del battaglione Cacciatori della Guardia Reale. Fu nominato guardia forestale nel comune di Sora, continuando l'attività del nonno Valentino. Come suo nonno, però, decise di combattere contro chi invadeva la sua terra e cacciava il suo re. Chiavone tra il 1860 ed 1861 si distinse in numerosi combattimenti, fino ad incontrare a Gaeta il re Francesco II e la regina, diventando infine punto di riferimento dei Borbone in qualità di Comandante in capo delle truppe del Re delle Due Sicilie dopo la resa di Gaeta. Creò molti problemi all'esercito garibaldino prima ed a quello piemontese poi. Dai suoi nemici era considerato più che un generale, un capo brigante. Le sue tecniche di guerriglia, le sue tattiche ed i suoi piani non furono meno di quelle di uno stratega. L'11 giugno 1862, la banda del generale Chiavone insieme a Nunzio Tamburrini (in tutto circa 250 unità) decise di attaccare Rivisondoli, borgo sguarnito dai soldati del regio esercito, per reperire viveri, armi e munizioni. Chiavone ed i suoi decisero di attaccare il paese dal valico della Portella e dal Monte Calvario. Sul monte Calvario, però, si presentarono prima gli uomini della guardia nazionale di Pescocostanzo, avvertiti, che impedirono loro di occupare la posizione. L'azione iniziò intorno alle 11:45 e gli scontri con i difensori si protrassero fino alle 14:30. Il sindaco di Rivisondoli, Francesco Ferrara, raccontò che i pochi soldati di truppa e trenta guardie nazionali presenti in paese si batterono con ardore ed a brevi distanze sotto i colpi ininterrotti di fucileria. Dietro le finestre, gli archi e le mura i difensori riuscirono a resistere ad ogni attacco sempre riparati a scapito degli attaccanti che dovevano uscire allo scoperto per avvicinarsi a loro. Dopo due ore e mezzo di scontri, tuttavia, Chiavone ordinò la ritirata facendo defluire tutta la banda verso il Piano di Cinquemiglia. Con loro venivano anche molti feriti mentre si lasciavano dietro perfino un morto. Nessuna perdita fu inflitta ai combattenti di Rivisondoli. Questa sconfitta, sicuramente, creò molti scontenti tra gli uomini di Chiavone e tra i suoi alleati. Alcuni erano rimasti feriti ed avevano subito dispendio di munizioni senza essere riusciti ad entrare nel borgo e prelevare nuovi rifornimenti. Iniziarono delle discordie all'interno delle bande di briganti. Era l'inizio della fine per Luigi Alonzi. Abbandonato da molti dei suoi, tornò sulle montagne di Sora, ma qui fu catturato. Il generale fedele ai Borbone venne così fucilato il 28 Giugno 1862, nei pressi di Trisulti, nel Frosinate. La sera del 4 luglio il suo amico Zimmermann e altri ufficiali, con altri pochi uomini, tornarono sul luogo dell'esecuzione, allestirono un rogo e bruciarono il cadavere del giustiziato, dopo che lo stesso Zimmermann ebbe tagliato, per tenerlo come trofeo, un ricciolo della chioma di Chiavone. «Il fuoco bruciò tutta la notte», racconta il funesto memorialista tedesco, «e quando la stella del mattino comparve nel cielo, anche l'ultimo osso era diventato cenere». |
foto Zatini
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