Allievo ufficiale dell'Accademia di Livorno, era sulla nave-scuola Vespucci in Adriatico quando fu firmato l'Armistizio. L'equipaggio sbarcò a Brindisi, già occupata dagli Alleati. Qui, inquadrato nel ricostituito esercito regio, aggregato alle truppe Alleate, si prestò a difficili missioni, come quella di farsi paracadutare in territorio ossolano, per tenere contatti con i partigiani che avevano appena costituito una libera repubblica; ma l'aereo che lo trasportava precipitò.
Un suo fratello, Gino, si era invece arruolato nella Repubblica Sociale Italiana e pochi mesi dopo venne ucciso dai partigiani di Tito vicino a Tolmino (SLO).
Con il commilitone Voglino era a bordo di un aereo della RAF che nella notte del 12 settembre 1944 si schiantò sul monte Cavallaria, fra la valle della Dora Baltea e la val Chiusella. A bordo, oltre ai due italiani, c'erano due militari cecoslovacchi e nove dell'esercito britannico. Secondo alcune fonti l'aereo aveva come obiettivo il lancio di armi, munizioni e rifornimenti a bande partigiane accampate poco più a nord, nella valle di Champorcher; ma la presenza dei cecoslovacchi e degli italiani fa pensare che gli uomini dovessero scendere col paracadute oltre le linee tedesche per indurre alla diserzione truppe di quei paesi arruolate nella Wehrmacht (
missione "Silica 2"); l'aereo era partito da Brindisi, in territorio già liberato dagli Alleati, aveva fatto scalo in Sardegna e stava tentando per la seconda volta di raggiungere l'obiettivo; non è certo se la causa dell'incidente sia stata un'avaria oppure un errore di rotta prodotto dal "volo cieco" sulle Alpi.
I due italiani sono sepolti nel
cimitero di guerra britannico di Trenno (Milano) assieme ad alcuni dei compagni della sventurata missione (vedi
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