Diplomatosi all'Istituto di Belle Arti, si dedicò un po' da autodidatta all'architettura, dando sfogo ad uno stile eclettico, più da scenografo che da architetto. Si affermò (1909) progettando l'ingresso del Giardino zoologico romano, di gusto tardo-barocco e poi corrispose allo stile monumentale del Ventennio realizzando opere come il
Ponte Flaminio e diversi monumenti ed edifici pubblici a Tripoli. Costruì una villa monumentale sulla via Flaminia per la sua famiglia. Si cimentò anche nella ideazione di un piano regolatore della capitale, che prevedeva pesanti sventramenti di antichi quartieri, ma per fortuna le sue idee vennero seguite solo in parte. Dal 1924 al 1939 diresse i lavori di completamento del
Vittoriano. Dopo la guerra continuò a sfornare progetti, quasi mai realizzati, come il ponte sullo stretto di Messina.
Il testo epigrafico si modella su quelli antichi romani d'età imperiale, aggiungendo al nome del personaggio quello del padre, del nonno e del bisnonno (di cui si indica la provenienza romagnola): è un modo -come l'uso della lingua latina- per conferire nobiltà alla persona commemorata; fra l'altro è il caso di ricordare che Brasini era architetto non per regolare
cursus accademico ma per la legge 1395 del 23/6/1935, che consentiva l'iscrizione all'albo a tutti coloro che per dieci anni avessero esercitato di fatto la professione, anche senza averne titolo (e il mestiere non era neppure tradizione famigliare: il padre era sarto). La targa unisce infine un merito apprezzato dal regime fascista: la prole numerosa, i sei figli qui elencati, per cui Brasini costruì questa casa.