Agli albori del secolo XX, quando l'Italia si accingeva ad avviare il passaggio da un regime prevalentemente agricolo ad uno agricolo-industriale, si assisteva ad un primo, timido, sviluppo capitalistico che con sé portava inevitabilmente anche un consistente inurbamento delle popolazioni provenienti dalle campagne. E, mentre nel centro di una città come Milano il rinnovamento avveniva con criterio e metodo, nelle periferie le case dei lavoratori avevano come uniche caratteristiche la cattiva costruzione e l'assenza di progetto, come unico scopo la speculazione. Per questo il quartiere popolare di Via Solari rappresentò un' incredibile novità. Costruito nel 1906 su progetto dell'architetto Giovanni Broglio, il complesso fu finanziato dalla Società Umanitaria che, istituita nel 1893, univa all'investimento patrimoniale il proposito di "mettere i diseredati senza distinzione in condizioni di rilevarsi da sé medesimi, procurando loro appoggio, lavoro e istruzione" (Articolo 2 dello Statuto della S. U.). Sorsero così 11 edifici, al massimo di 4 piani, a densità media e progettati con particolare attenzione all'orientamento e al loro distanziamento per favorire il corretto soleggiamento e l'abbondante circolazione d'aria; la sua significatività, però, risiedeva soprattutto nella sua eccezionale dotazione di servizi all'interno della struttura, a livello sia di requisiti tecnico-sanitari, sia di servizi culturali e sociali. Riguardo ai primi, gli alloggi erano stati studiati con estrema cura, dotati di bocche d'aria regolabili per il ricambio, di latrine private, di piccoli acquai dove era possibile cucinare, di balconi e terrazzini in cui era ricavato un condotto per l'immondizia. Dall'altro lato, la presenza di servizi culturali e sociali come il teatro del popolo, le sale conferenze, la biblioteca, l'università professionale e l'asilo infantile dovevano anch'essi sostenere il miglioramento del livello di vita della classe operaia. Nel suo insieme si trattava dunque di un quartiere esemplare, che doveva sfatare il principio della presunta refrattarietà biologica della classe operaia all'educazione e all'igiene. Piero Cocconi mi segnala che a fine aprile 2006 la Società Umanitaria ha murato, di fronte alla precedente, una lapide a commemorare il centenario di queste case (vedi terzo thumbnail). |