Chimico, dirigente industriale, dal 1929 aderì al gruppo antifascista clandestino di Giustizia e Libertà. Nel 1930 fu arrestato con
Ernesto Rossi e
Riccardo Bauer (traditi dall'avvocato friulano
Carlo Del Re) e accusato dell'attentato stragista di due anni prima alla Fiera Campionaria. Si suicidò nel carcere di Regina Coeli ingoiando frammenti di vetro. Poche ore prima di togliersi la vita scrisse alla moglie: "Santa Elena mia, posso dirti le circostanze che mi portano a compiere oggi un atto che da più di un mese ho deciso. Ho aspettato sino ad ora per essere ben certo che nulla mi facesse velo. Non posso dirti, perché equivarrebbe a rendere impossibile che ti consegnino queste mie ultime parole. Ho forse toccato inconsciamente mani impure e quello che ho fatto, non grave in sé, può far sorgere dei dubbi, e per difendermi dovrei accusare, senza un'ombra di prova, solo per un'ombra di prova, solo per poche parole, afferrate qua e là. Sono stato cieco e questo mi ha portato a dover dare a te, a tutti i miei cari adorati, questo dolore terribile. Io perdono con assoluta sincerità di cuore e tu fa lo stesso secondo la mia intenzione. Difendi la mia memoria se le circostanze lo richiederanno. Che i nostri figli portino ben alta la fronte, perché il loro padre muore con la coscienza tranquilla e senza aver macchiato il loro nome" (devo la citazione e altre integrazioni informative a Walter dalla Biblioteca di Rozzano). A Ceva era stato chiesto dai suoi compagni di preparare un ordigno per attentati dimostrativi ma, quando fece un test per saggiare l'efficacia dei suoi preparati, si accorse dell'enorme potere dirompente di quegli esplosivi e decise di neutralizzarli, gettandoli nelle acque del Brembo. Però nella lettera di addio sopra riportata non è categoricamente rifiutata la sua estraneità all'attentato, perché i poliziotti che lo interrogavano gli insinuarono abilmente il dubbio che altri di GL avessero comunque recuperato il materiale e portato a termine il massacro (20 morti e decine di feriti). Di qui il fatale tormento che lo portò al suicidio. A tutt'oggi non si hanno certezze definitive sulla
matrice di quell'attentato.
Nel 2013 grandi lavori edilizi fecero sparire il muro e nel cantiere sorse un albergo, senza che si sapesse il destino della lapide; allora il Comune, interpellato, dichiarò di essersi assicurato che fosse conservata e poi affissa di nuovo. Solo nel 2021 la lapide è riapparsa, opportunamente restaurata (vedi
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